27.8.08

Import: Invisible Waves

Regia: Pen-Ek Ratanaruang
Sceneggiatura: Prabda Yoon
Cast: Tadanobu Asano, Hye-jeong Kang, Eric Tsang, Ken Mitsuishi

Già grande autore col precedente
Last Life in the Universe, il regista Pen-Ek Ratanaruang si riconferma ora come uno fra i cineasti tailandesi più interessanti di sempre.

Ancora una volta il trittico formato da tre grandi artisti quali Ratanaruang alla regia, Doyle alla fotografia e Asano nei panni del protagonista si dimostra vincente. Questo non significa che Invisible Waves si possa considerare una film fotocopia del precedente. Tutt'altro. Se Last Life in the Universe era un prodotto certamente innovativo ma ben definibile e ascrivibile in determinati standard (nonostante continui sprazzi di surreale genialità), Invisible Waves è un lungometraggio, se possibile, ancora più autoriale, ricercato, ma proprio per questo meno adatto al grande pubblico.
E' evidente che la fotografia di Chris Doyle ha avuto un ruolo fondamentale nel dar vita alle cupe atmosfere che, forse, sono il pezzo forte del film, ma è altrettanto indubbio che il modo in cui il regista ha saputo dar movimento alle immagini, senza invadenza e con uno sguardo che sembra scavare dentro l'anima, si può a ben ragione considerare la carta vincente del lungometraggio. Così come non si può che applaudire all'interpretazione di un Asano immerso in un ruolo che gli calza davvero a pennello e che riesce a trasmettere alla perfezione un senso di disagio più che tangibile. Di grande impatto anche il resto del cast (internazionale) di cui si avvale Ratanaruang, composto dalla coreana Hye-jeong Kang (che molti ricorderanno in OldBoy), dal giapponese Mitsuishi Ken (Audition), dal cinese Eric Tsang (Infernal Affairs).
A una storia tutto sommato semplice si contrappone un sottotesto emotivo di forte intensità. Kyoji è un cuoco che pur avendo una relazione con la moglie del proprio capo accetta di assassinarla per conto del marito (forse perchè in realtà anche lui vuole sbarazzarsene). Sopraffatto dai sensi di colpa cerca di lasciarsi alle spalle la vita precedente cercando nuove motivazioni in un paese straniero grazie al sostegno del proprio mandante. Fra ambienti ostili e presenze inizialmente invisibili che sembrano seguirlo ovunque vada, quasi come se fossero un incarnazione del suo tormento, arriverà a prendere piena coscienza della situazione in cui si trova, tanto da un punto di vista materiale quanto da quello prettamente morale/psicologico. Mentre in partenza sembra di assistere a un thriller, già dopo pochi minuti l'impostazione filmica si sposta su altri lidi (poco battuti) concentrandosi sull'interiorità del protagonista, rappresentata nel caso specifico da situazioni al limite del paradossale e da una messa in scena estremamente inquietante che ricorda per molti versi il cinema di Lynch. Importante la musica, sempre presente e sussurrata, fatta di suoni raggelanti che contribuiscono a rendere stranianti anche le situazioni più comuni.
Se è vero che quello del senso di colpa e del rimorso è un tema già affrontato innumerevoli volte nel mondo del cinema, bisogna pur ammettere che è raro trovarsi di fronte ad un opera così priva di retorica come Invisible Waves. Anche e soprattutto nel finale, le intenzioni sono quelle di non abbandonarsi a classici meccanismi atti a suscitare le solite emozioni negli spettatori, non si va mai nella direzione del melò, non ci si sente mai vittime della pateticità.
Ma è in realtà nell'impostazione generale che, come già si accennava, Invisible Waves trova la propria forza e la propria ragion d'essere. Non è facile ne scontato addentrarsi in una psiche tormentata, non è immediato per lo spettatore provare empatia per un assassino e, quindi, lasciarsi coinvolgere da una pellicola che vuole mantenersi seria (nonostante l'ironia non sia del tutto assente). Pure i colpi di scena, quando presenti, non vengono -volutamente- sfruttati, perchè non rientrano negli obbiettivi del regista. Pertanto si dimostra saggia la decisione di proiettare ogni astrazione verso l'esterno, ed ecco che l'ambiente (vero protagonista del film) diventa trasfigurazione dell'inconscio, materializzazione delle sensazioni. Solo con questo concetto in mente è possibile apprezzare l'importante lavoro svolto, anche in fase di sceneggiatura, la cui semplicità non dovrebbe essere vista come un difetto ma come una scelta ben motivata dal successivo lavoro svolto in fase di regia.
Quanto detto in precedenza non dovrebbe mettere in secondo piano un'altro importante tassello che determina la riuscita di questo prodotto: i dialoghi. Potrebbe sembrare strano, perchè in un opera marcatamente surreale come questa ci si potrebbe convincere che le parole debbano lasciare il posto alle immagini. Ma non è così. Molte frasi (le più preziose) sono studiate e pensate per aprire la strada alle immagini stesse.
Del resto, anche il titolo acquista significato in alcune delle battute più belle dell'intero film: quando Kyoji si trova in viaggio sulla nave e fa la conoscenza del barman, quest'ultimo, parlando del proprio lavoro e del mare, afferma di odiare il primo ma di amare il secondo, “il mare non ha pregiudizi nei miei confronti, lo guardo e lui guarda me” dice. Ma Kyoji non può essere d'accordo, “strano, io ho l'impressione che il mare mi giudichi” risponde. Perchè la visione delle cose cambia in relazione al nostro stato interiore. Mentre chi è in pace con se stesso vede nel mare un riflesso della propria innocenza, il protagonista non può far altro che scorgervi delle onde invisibili, quelle della propria (sub)coscienza. Una coscienza macchiata e sporcata irrimediabilmente, turbata e irrequieta, come un mare apparentemente calmo in superficie ma mosso in profondità da un flusso che non può cambiare direzione, e che accompagnerà per mano Kyoji (e lo spettatore assieme) verso l'amaro e toccante finale che conclude degnamente un opera di elevato livello artistico.



Recensione a cura di Nosf

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21.8.08

X-Files: Voglio Crederci

Regia: Chris Carter
Sceneggiatura: Frank Spotnitz, Chris Carter
Cast: Gillian Anderson, David Duchovny, Amanda Peet, Bill Connolly, Xbzit

A dieci anni dalla prima iterazione cinematografica di una delle più importanti serie televisive di tutti i tempi, tornano al cinema gli agenti Mulder e Scully.

Quanto può aver senso rispolverare una serie ormai conclusasi da 6 anni con interrogativi importanti, senza riprendere quel discorso lasciato in sospeso ? Che neanche la Fox puntasse molto sul progetto lo dicono i 30 milioni di dollari (quasi un film “low-budget”) messi a disposizione di Chris Carter per riportare in auge il mito dei due agenti dell’FBI Fox Mulder e Dana Scully; il responso del botteghino statunitense è stato impietoso: a quattro settimane dall’uscita nei cinema a stelle e strisce la pellicola ha incassato circa 20 milioni di dollari, vanificando qualsiasi velleità “trilogistiche” che gli autori si fossero preposti (la casa di produzione aveva annunciato la volontà di realizzare 3 film).
E la scusa dell’uscita nelle sale troppo prossima al “mattatore” dell’industria cinematografica di quest’estate 2008, quel “The Dark Knight” che sta frantumando record su record, non regge: il terzo episodio de “La Mummia” ha guadagnato quanto avevano guadagnato i due predecessori. Inoltre, come sottolineato dal “collega” ColinMckenzie di BadTaste.it, un calo degli incassi al secondo weekend del 60 % significa che il film è stato poco apprezzato e che le sue sorti economiche sono state funestate da un passaparola negativo.
Leggittimo, X-Files: Voglio Crederci è un film pessimo.
Rispondendo al quesito in apertura di recensione, sembra già assurdo di per sè inimicarsi una buona fetta degli aficionados del serial TV optando per una trama da “filler” (puntate slegate o legate debolmente alla trama principale), figuriamoci costruire una pellicola su un plot buono tuttal’più per un porno-omosex, senza neanche l’ombra di un solido elemento paranormale che non siano le visioni di un prete pedofilo castrato.
I Want to Believe vorrebbe prima di tutto essere un buon thriller, ma non ci riesce; in primis, la volontà dell’autore di porsi come demiurgo onniscente risulta essere nociva alla suspense e alla capacità di suscitare interesse nello spettatore; del resto chi vuole sorbirsi 2 ore di film su un’indagine di cui si conosce il colpevole sin dal primo quarto d’ora ?
Se poi lo script è pieno di buchi di sceneggiatura, incoerenze e banalità assortite - con occasionali risvolti comici che ci si aspetterebbe dai siparietti della Gialappa’s - la soglia dell’attenzione cala paurosamente.
Il rapporto “odi et amo” tra Mulder e Scully viene esplicato tramite scambi di battute lunghi e noiosi del quale spesso e volentieri si ignorano le finalità narrative; stupisce la superficialità con il quale l’FBI indaga sulla scomparsa dei due agenti, dando fiducia e ampie risorse a un perfetto sconosciuto farneticante, salvo poi tacciarlo di inattendibilità quando questi dimostra di non essere un lestofante; addirittura viene lasciato libero di delinquere quando è ormai chiaro che il soggetto in questione abbia un legame non indifferente con gli indiziati. Impossibile glissare sulla ridicola (e mal esplicata) escamotage con il quale viene sbrogliata l’indagine: perché mai un funzionario della sanità in servizio (incensurato peraltro), addetto al trasporto d’organi espiantati, dovrebbe essere fermato dalle forze dell’ordine ?
Strapperanno più di un sorriso – si ride per non piangere, intendiamoci - le banalissime allegorie religiose e di stampo complottistico; neanche gli autori di Scary Movie erano stati capaci di inquadrare la foto del presidente Bush con il sottofondo musicale dell’inquietante tema principale di X-Files. Va da sè che il modo in cui vengono affrontate tematiche delicate come religione e violenze su minori, e ancor di più la rozzezza di alcuni dialoghi ad esse relativi, lascia interdetti.
Se il compito della caratterizzazione dei due protagonisti viene lasciata alle 9 stagioni del serial TV, con sommo smarrimento di chi il telefilm neanche l’ha adocchiato distrattamente (ma si sa, Voglio Crederci è un prodotto prima di tutto destinato agli aficionados di X-Files), i personaggi di contorno sono di un piattume avvilente, specie gli agenti interpretati dal rapper Xbzit, capace di ostentare un’unica espressione facciale “corrucciata” per l’intera durata del film, e da Amanda Peet: fuori luogo e stranianti le attenzioni neanche troppo velate che il personaggio da lei interpretato rivolge a quello di David Duchovny, assurda (e girata neanche fosse un filmaccio horror splatter di serie z) la sua dipartita. Si sente la mancanza di un villain carismatico e con moventi solidi: quelli dell’allegra brigata di chirurghi e infermieri russi francamente sono buoni per trame da libricino Harmony-per-gay rilette in chiave frankensteiniana; la storia dell’omosessuale, che ha subito violenze durante l’infanzia, al quale vengono trapiantati arti e organi umani per trasformarlo in una vera donna potrebbe anche sortire l’effetto opposto alle intenzioni degli autori.
La messa in scena è da filmettino horror-splatter dozzinale, con movimenti di camera “Final-Destination style” dal gusto sado-gore, in netta contrapposizione con quello che X-files è stato per anni e anni. La narrazione ne risulta macchinosa e artificiosa e il raffazzonato finale lascia un tremendo senso di incompiutezza: non una parola sulla sorte delle persone coinvolte nel misfatto, di nuovo un prolisso dialogo al tramonto con sottofondo musicale che rievoca atmosfere da filmetto romantico e una scena dopo i titoli di coda che vi spingerà a chiedere indietro i soldi del biglietto.
Sulla sceneggiatura era stato mantenuto il massimo riserbo, con speculazioni e rumor che si susseguivano a ritmi vertiginosi, fino all’uscita americana; una mossa commerciale che per certi versi ricorda quegli embarghi e divieti che vengono imposti ai giornalisti che vedono in anteprima il film, spesso per timore che la pellicola venga stroncata prima dell’uscita nelle sale, con conseguente ingente perdita di guadagno. A ragione i produttori di X-Files: Voglio Crederci hanno ben pensato di impedire che qualcuno potesse intuire la mediocrità di un prodotto così scadente; un thriller brutto che infastidirà gli appassionati di lunga data e che cancellerà dai “profani” ogni minima volontà di riscoprire un telefilm che ha segnato la storia della televisione e l’immaginario collettivo di una generazione.



Recensione a cura di Calcifer

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24.7.08

Il Cavaliere Oscuro

Regia: Christopher Nolan
Sceneggiatura: Christopher Nolan, David S. Goyer
Cast: Christian Bale, Michael Caine, Heath Ledger, Gary Oldman, Aaron Eckhart, Maggie Gyllenhaal, Morgan Freeman

I dati parlano chiaro: The Dark Knight era il film più atteso della stagione cinematografica. E finalmente è arrivato. Anche in Italia.


Ed è da uno dei timori più sentiti da parte dei fans italiani che vogliamo introdurre questa recensione: il doppiaggio. La paura c'era, soprattutto in relazione al Joker, che il pasticcio venisse fatto. E invece tutti sono rimasti a bocca (mezza) aperta, perchè Giannini si è cimentato in un impresa a dir poco proibitiva ed è riuscito a non deludere. Non che il suo lavoro renda alla perfezione la performance del compianto Ledger, beninteso (ma diciamocelo in tutta franchezza, chi ci sarebbe riuscito?), tuttavia il Joker terrorizza, inquieta, diverte. Anche in italiano. Quello che lascia realmente delusi è il calo qualitativo nel lavoro di Santamaria, il doppiatore di Bruce Wayne/Batman, che pure si era comportato discretamente nel bellissimo prequel, ma che in questa occasione non riesce a regalarci un doppiaggio quantomeno accettabile. Peccato. E peccato anche per qualche svarione come quello della ballerina russa dalla voce che ha fatto ridere migliaia di persone nel primo giorno di proiezioni. Per il resto siamo nella norma e tutto sommato non possiamo dichiararci delusi da questo adattamento in lingua italiana, che non è perfetto, ma nemmeno disastroso.
Detto questo passiamo all'analisi vera e propria del film che, lo diciamo subito a scanso di equivoci, è quanto di più diverso ci si potesse aspettare rispetto a Batman Begins (ogni paragone risulterebbe quindi fuorviante in fase di recensione).
Se già il contesto del prequel era estremamente realistico, in questo caso ci troviamo di fronte ad un prodotto talmente vicino a quelle che sono le dinamiche del genere poliziesco da farne un esemplare totalmente estraneo alle caratteristiche tipiche dei comic movie tanto diffusi negli ultimi anni. Potremmo anzi dire che il modo in cui viene resa la lotta al crimine è quanto di più realisticamente drammatico ci si potesse attendere. Anche la struttura filmica lo rende decisamente atipico, in particolare il montaggio frenetico, quasi convulso, che ci vede saltare da una situazione all'altra, da un luogo all'altro, da un personaggio all'altro, come a voler preannunciare quel caos equo che diventerà, nell'incedere della trama, una delle tematiche portanti del film (e conoscendo la coerenza di Nolan non abbiamo dubbi che la cosa si voluta).
In funzione di ciò la dualità è quindi il perno attorno al quale gira questa giostra complessa messa in piedi dal regista, una giostra che afferra gli spettatori e li fa girare vorticosamente permettendo loro di vedere di volta in volta una diversa facciata di quel grande luna park degli orrori che è Gotham. Ed è così che passiamo dalle crisi morali di Wayne/Batman (che è esso stesso un esempio di quella dualità) alla corruzione dilagante negli agenti di polizia, dalla lotta intelligente di Dent alle macchinazioni della mafia, da un criminale che inaspettatamente si rivela più umano della gente comune alla follia lucida e spietata di Joker.
Ed è di lui che vogliamo parlare. Perchè se già tutti sembravano saperlo, questa è la pronta conferma che il vero protagonista non è nessun altro. E' lui il marionettista che tende I fili della baracca, è lui la star, è lui quello che ti entra dentro. Lui è il cattivo per eccellenza e siamo sicuri di non esagerare nel dire che il cinema ha visto raramente, ma davvero raramente, un villain così carismatico e così ben caratterizzato ed interpretato. Già il modo in cui il personaggio viene fatto apparire lo rende particolarmente attraente, Joker compare e scompare, si prende gioco di tutti, buoni e cattivi, poliziotti e mafiosi. E a dirla tutta si prende gioco anche degli spettatori, ma diciamocelo, quanto è bello lasciarsi prendere in giro in tal modo... I colpi di scene migliori, quelli più eclatanti, sono organizzati da lui, anche quando tutto sembra andare per il meglio ci si rende conto che le cose stavano semplicemente andando come lui voleva. La sensazione è fin da subito quella di trovarsi di fronte a qualcosa di superiore, qualcosa che va al di la di tutto quello che abbiamo visto fino ad ora.
Dal punto di vista registico Nolan non delude, sebbene vi siano pochi combattimenti essi sono ben orchestrati e non se ne sente la carenza in virtù della natura del prodotto che, lo ripetiamo, ha poco a che spartire con gli altri esponenti del genere supereroistico. Un notevole contributo alla sensazione di sopraffazione che pervade l'opera, dall'inizio alla fine, è dato dalle buone musiche. Sempre presenti, incalzanti, infarcite della giusta dose di drammaticità che del resto caratterizza questa pellicola. Anche quando, nella parte finale, la sceneggiatura si divide, seguendo da una parte il Joker e dall'altra la sua creatura, non si rimane spaesati ma si assiste per l'ennesima volta a uno sdoppiamento, a una divisione che ben rappresenta il personaggio venutosi a creare e che è l'incarnazione di questo concetto. La fotografia è buona e si eleva a tratti in sprazzi di pura spettacolarità (basti pensare alle scene girate ad Hong Kong).
Per quanto riguarda le performance recitative del cast abbiamo già parlato della straordinaria prova di Ledger (l'unico rammarico è che non vedremo mai più un Joker così). Il solo che sembra soffrire di questa predominanza è proprio il Cavaliere Oscuro, ma questa sembra più una conseguenza di scelte in fase di sceneggiatura che un effettiva mancanza di Bale. Il resto degli attori si attesta su livelli medio alti, con una Gyllenhaal decisamente più decorosa della sostituita Holmes e con un Aaron Eckhart sorprendentemente performante nel doppio ruolo di Dent/Due Facce.
Possiamo concludere dicendo che tutti hanno fatto egregiamente la propria parte in un prodotto per il cinema che forse non sarà perfetto (si potrebbe comunque accusare la scelta di lasciare in secondo piano il personaggio che da il titolo al film, oppure qualcuno potrebbe storcere il naso di fronte all'unica scena leggermente perbenista -che tuttavia si presta ad interessanti approfondimenti-) ma che senz'altro rimarrà per sempre nella storia della cinematografia, per svariati motivi.
Il principale dei quali è che, alla fine, quando si esce dalla sala, quando si torna alle proprie case, il suo sorriso e la sua folle malvagità sono ancora li di fronte a te, sembrano non volersene andare mai più, ti restano nel cuore e nella mente. E ci si rende conto che nonostante tutto, su tutto e su tutti il vero vincitore è sempre e soltanto lui: Joker. Heath.



Recensione a cura di Nosf

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8.7.08

Top e flop nei primi sei mesi del 2008 (Parte II)

La seconda e ultima parte dedicata al meglio e al peggio di quanto visto in sala in questi primi sei mesi dell’anno.

Riprendiamo da dove avevamo lasciato ieri, per l’ultima parte della classifica.













APRILE:


Mese segnato dal visionario Wes Anderson, che dopo il criticato “Le avventure acquatiche di Steve Zissou” (ma il sottoscritto è tra coloro che, al contrario, hanno apprezzato non poco la pellicola) omaggia l’India (e ancora una volta la famiglia) nel ‘train movie” “Il treno per il Darjeeling”, incentrato su un trittico fraterno alquanto eterogeneo che spazia dall’Owen Wilson, sempre presente nei film del regista, suicida recidivo all’occhialuto Adrien Brody, passando per il giovane Jason Schwartzman, latin lover dal cuore infranto.

Una pellicola ricca di significati e caratterizzata, al solito, da innumerevoli tocchi di classe, per uno stile, quello di Anderson, ormai inconfondibile.

Tuttavia il mese di Aprile ha segnato anche il ritorno in cabina di regia per George Clooney, che con il romantico “In amore niente regole” ha regalato una piacevole commedia dal gusto retrò.

Sul fronte opposto non si contano gli sfaceli, ma ad uscirne vincitore è il bruttissimo “3ciento - Chi l’ha duro...la vince”, imbarazzante produzione dagli autori di “American pie”.

A seguire c’è comunque “Next”, il cui unico elemento di spicco è l’orrenda capigliatura di Nicolas Cage (il fatto che sia incapace di rendersi espressivo lo diamo per assodato).



MAGGIO:


Il mese che ha segnato la “riscossa” del cinema italiano a livello internazionale (merito soprattutto delle proiezioni sulla Croisette) rimane altresì maggiormente impresso per l’opera (prima di una trilogia) del russo Sergei Bodrov, “Mongol”, vita del conquistatore Mongolo Temudjin, meglio noto come Gengis Khan, a cui da volto il bravissimo Tadanobu Asano, calatosi abilmente nella parte.

E sempre in tema di trasformismi, un altro notevole esempio di trasformazione lo riscontriamo con il poliedrico Toni Servillo, immagine del nuovo cinema nostrano, che si trasforma per Matteo Garrone in un uomo senza scrupoli al servizio della camorra e per Sorrentino nel senatore a vita Giulio Andreotti.

D’altro canto non mancano comunque le classiche operazioni commerciali, come nel caso di “Superhero - Il più dotato dei supereroi” o di “Rise - La setta delle tenebre” (la Ghost House Pictures ha bissato questo mese con “Boogeyman 2”), che giocano le carte del demenziale o si rifanno ai classici film di genere, non riuscendo né a far ridere (nel caso del film prodotto da Zucker) né a risultare interessanti (come nel caso del film con Lucy Liu protagonista).



GIUGNO:


E veniamo all’ultimo mese preso in esame.

Per quel che mi riguarda il film del mese è il brasiliano “Tropa de elite - Gli squadroni della morte”, del carioca José Padilha.

Storia vera ambientata nelle odierne favelas di Rio de Janeiro, dove il BOPE (Battaglione per le operazioni speciali) opera quotidianamente nel tentativo di arginare il fenomeno della criminalità, in costante crescita.

Un “City of god” privo della stessa carica emotiva, ma al contempo ugualmente vero.

Notevole anche il ritorno in sala del gigante di giada, che dopo le delusioni patite dai fan per l’adattamento firmato da Ang Lee nel 2003, hanno finalmente visto realizzati i loro “sogni”, in un cinefumetto che mantiene gran parte delle promesse, merito anche dei due protagonisti, l’esile Edward Norton e lo spietato Tim Roth (già autore di una bella performance nell’ultimo di Coppola, “Un’altra giovinezza”), ossessionato dal mostro che si cela dentro Bruce Banner.

Il titolo di delusione del mese spetta invece al catastrofico “E venne il giorno” di M. Night Shyamalan.

Pellicola priva di mordente e incapace di trasmettere alcuna emozione, una fredda sequela di immagini senza senso.

Ma non dimentichiamoci del pessimo “Chiamata senza risposta”, ennesimo remake di un film orientale (“The call” di Miike Takashi) ed ennesimo film inutile.



A cura di Svengali

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7.7.08

Top e flop nei primi sei mesi del 2008 (Parte I)

La prima parte di uno speciale dedicato alle uscite in sala di questi primi sei mesi del 2008

Con la speranza di farvi cosa gradita, stiliamo una piccola classifica del meglio e del peggio di questi primi sei mesi del 2008, anno ricco di uscite importanti che ha visto, finora, confermate le attese e ha presentato anche alcune gradite sorprese.







GENNAIO:

Il primo mese dell’anno è segnato, irrimediabilmente, dal piccolo gioiello firmato Sean Penn, “
Into the wild” (con il quale abbiamo tra l’altro “inaugurato” il progetto Soliti Ignoti).
Punto di forza l’esperienza reale vissuta dal giovane Chris McCandless (interpretato
magistralmente da un camaleontico Emile Hirsch), divenuto nel corso del suo viaggio Alexander Supertramp.
Il tutto sottolineato dalle magnifiche musiche di Eddie Vedder e dal tocco di Sean Penn.
Altro titolo interessante, passato un po’ in sordina qui in Italia, è “
Lars e una ragazza tutta sua” (candidato all’oscar per la miglior sceneggiatura durante l’ultima edizione).
Ryan Gosling interpreta Lars Lindstromm, giovane affetto da turbe psichiche, che troverà il vero amore in una bambola di silicone.
In una storia che sa commuovere e che avrebbe meritato sicuramente qualcosa di più.
Lo scettro di flop del mese spetta all’orripilante (non per meriti suoi) “
Aliens vs Predator 2” dei fratelli Strause, un concentrato di roba già vista e scialbi effetti speciali per una storia che non coinvolge minimamente, merito anche di un cast particolarmente “ispirato”.


FEBBRAIO:

A farla da padrona è il già cult “
Non è un paese per vecchi” dei fratelli Coen, che tornano alla ribalta dopo il deludente “Ladykillers” del 2004.
Sangue freddo e tensione alle stelle in un thriller atipico, interpretato da Javier
Bardem (oscar per il ruolo più che meritato), Tommy Lee Jones e Josh Brolin.
Adattato dall’omonimo libro di Cormac McCarthy.
Ma non bisogna dimenticarsi de “
Lo scafandro e la farfalla” di Julian Schnabel, un raro esempio di poesia trasposta su pellicola, nonostante il tema trattato non fosse dei più convenzionali.
Per quanto riguarda il flop del mese si contendono la palma il vetusto “
John Rambo” firmato Sylvester Stallone e il goticheggiante “Sweeney Todd” di Tim Burton, colui che è riuscito a rifare sé stesso una quantità considerevole di volte.
Ad uscirne “vincitore” è tuttavia il veterano del Vietnam, protagonista di un film ai limiti del ridicolo e che non sfigurerebbe affatto in una delle tante produzioni parodistiche in voga negli ultimi tempi.


MARZO:

Scandito dalle dolenti note del dramma familiare diretto da Sydney Lumet.
Onora il padre e la madre” (ma il titolo originale è “Before the devil knows you are dead”) è la perfetta rappresentazione dei vizi della moderna società, a cui i due protagonisti Philip Seymour Hoffman e Ethan Hawke danno un corpo e un animo (nero).
Poco spazio è stato invece lasciato al tenero “
La volpe e la bambina”.
Documentario e film si intrecciano nell’opera del francese Luc Jacquet (oscar per “La marcia dei pinguini”) in una storia d’altri tempi che fa della semplicità il suo cavallo di battaglia.
Oltre alla bravura degli interpreti (le volpi e la giovane Bertille Noël-Bruneau).
Flop del mese il pachidermico “
10,000 a.C.” di Roland Emmerich, favoletta per bambini trasferita in digitale, con tanti luoghi comuni a farla da padrone, insieme ad un persistente senso di noia e disinteresse.
Sul gradino più basso del singolare podio si piazza invece la pellicola di Marc Foster, “
Il cacciatore di aquiloni”, pessima trasposizione dell’opera cartacea di Khaled Hosseini.


A domani con la seconda e ultima parte.



A cura di Svengali

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