13.4.08

Recensione: Il vento fa il suo giro

Regia: Giorgio Diritti
Sceneggiatura: Giorgio Diritti, Fredo Valla
Cast: Thierry Toscan, Alessandra Agosti, Dario Anghilante, Giovanni Foresti

Prodotto decisamente atipico nel panorama cinematografico italiano, Il vento fa il suo giro, esordio alla regia di Giorgio Diritti, si colloca ai vertici di ciò che le produzioni nostrane hanno saputo offrire negli ultimi anni.

Atipico per svariati motivi. Prima di tutto il lungometraggio non ha usufruito di alcun finanziamento esterno (leggasi ne statale ne televisivo) ed è quindi stato autoprodotto da una crew che include l'intera troupe e gli attori quasi esclusivamente non professionisti che hanno preso parte al progetto e che per l'occasione hanno messo a disposizione tutto quello che si vede in scena (animali, mezzi, abitazioni). In secondo luogo, essendo ambientato nell'alta valle Maria (Cuneo), al confine con la Francia, è parlato in tre lingue: il dialetto occitano, l'italiano e il francese e conseguentemente si avvale in moltissime scene di sottotitoli. Terzo rimarchevole aspetto, il film è stato presentato in diversi festival internazionali ottenendo buoni riconoscimenti e un notevole apprezzamento del pubblico ma purtroppo non ha mai ottenuto una distribuzione capillare sul suolo del nostro paese facendo spola in pochissime, sporadiche sale, per lo più all'interno di qualche rassegna cinematografica.
Ed è un vero peccato, perchè in un mercato ormai stantio come il nostro Il vento fa il suo giro si dimostra una vera e propria boccata di aria fresca che meriterebbe di essere valorizzata e portata all'attenzione di chiunque.
L'ottima sceneggiatura è, sulla carta, piuttosto semplice ma le tematiche che consente di approfondire sono tutt'altro che scontate. Un ex professore francese, stanco del sistema scolastico e dalla sua burocrazia, decide di fare il pastore sui Pirenei ma la futura costruzione di una centrale nucleare lo spinge a cercare un nuovo alloggio nel paesino montano di Chersogno, contrada sperduta e abitata ormai da poche famiglie composte per lo più da persone di età avanzata. L'arrivo di Philippe (questo il suo nome) e della sua famiglia, giovane e motivata, ha la forza dirompente di un fulmine a ciel sereno nelle vite degli abitanti del paese e di tutti coloro che si preoccupano della sua decadenza. C'è chi vede nel suo arrivo una possibilità per risollevare il paese ormai desolato a causa della migrazione dei suoi abitanti in luoghi più urbanizzati, per rilanciarlo anche da un punto di vista turistico. C'è chi invece vede Philippe come un intruso, come
un parassita indesiderato, come qualcuno di diverso da evitare e da allontanare. Fra solidarietà e bigottismo il protagonista e la moglie (con i tre figli) cercheranno di integrarsi nella comunità, di farsi accettare senza, giustamente, scendere a compromessi con i propri principi e con la propria concezione della vita e dei rapporti con le altre persone.
Numerose e, come si diceva, importanti le tematiche messe in risalto: Il bigottismo, in questo caso, assume la forma dell'indifferenza o nel peggiore dei casi del totale rifiuto nei confronti dello straniero che vede nelle risorse del paese che lo ospita una possibilità per migliorare le sue condizioni di vita e nel caso specifico per risollevare anche le sorti della comunità tutta dimostrandosi quindi fattore benefico e storicamente auspicabile della comunità stessa. La diffidenza costituisce invece un limite invalicabile che, se covata e non scansata, conduce al rancore che può sfociare in comportamenti irrazionali e, quindi controproducenti. D'altro canto l'ospitalità e l'apertura mentale di coloro che si prodigano per sostenere il difficile insediamento di Philippe si rivelano oltre che moralmente ineccepibili anche doverosi agli occhi dello spettatore ma scomodi ed addirittura perseguibili agli occhi di chi vede nel nuovo arrivato un pericolo o, forse, un elemento che potrebbe che col suo successo dimostrare inequivocabilmente il fallimento e l'erroneità dell'approccio alla vita attuato da coloro che hanno visto nella ruralità un limite piuttosto che un opportunità per riscoprire le proprie radici. Quello delle proprie origini è in effetti una altro dei temi affrontati dalla pellicola, in maniera anche palese nei dialoghi fra Philippe e uno degli abitanti del posto. La memoria storica, il ricordo di quelle piccole e grandi cose che facevano forti le famiglie e le comunità di una volta sembrano essersi perse nei meandri del tempo. Coloro che hanno vissuto in prima persona la vita di pastorizia, nei primi decenni delle loro vite, ma soprattutto la necessità di aiutarsi e sostenersi l'uno con l'altro sembrano aver dimenticato o, peggio, sembrano aver
voluto dimenticare che sono state proprio quelle cose a determinare la sopravvivenza del paese anche nei gli anni più difficili del secolo scorso. L'ambiente rurale, che in effetti si rivela uno dei protagonisti principali della vicenda, è reso in maniera perfetta e raramente riscontrabile in un prodotto cinematografico. L'esordiente Giorgio Diritti (segnatevi questo nome) riesce nella non facile impresa di miscelare al meglio un notevole realismo scenico con una dose di lirismo mai eccessiva e assolutamente apprezzabile, grazie anche alla splendida fotografia di Roberto Cimatti e alle evocative musiche che ricreano una atmosfera di grande impatto. Il fatto che gli attori non siano professionisti non costituisce un limite ma piuttosto, unito alla saggia decisione di non girare tutto in un unica lingua, contribuisce ad una maggior definizione dell'identità (storica, culturale, comportamentale) dei diversi personaggi.
Difficile trovare difetti in questo straordinario prodotto, che si differenzia da tutto ciò che il nostro cinema ha portato sugli schermi recentemente. Se dell'ultimo decennio ci fosse la necessità di segnalare con orgoglio un lungometraggio italiano di elevata qualità, innovativo, coraggioso, onesto, ricercato e non banale, la scelta ricadrebbe probabilmente su questo film, almeno per l'autore della recensione che avete appena letto.


Recensione a cura di Nosf

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