2.7.08

Wanted - Scegli il tuo destino

Regia: Timur Bekmambetov
Sceneggiatura:
Chris Morgan, Derek Haas, Michael Brandt

Cast:
James McAvoy, Angelina Jolie, Morgan Freeman, Thomas Kretschmann


Da un’opera di Mark Millar arriva sul grande schermo l’ennesimo cinefumetto, lontano anni luce dall’opera originale e privo di una propria identità.


Wesley Gibson (McAvoy) è l’impiegato medio, anzi è qualcosa in meno, è un individuo anonimo, frustrato per la patetica esistenza che è costretto a vivere, divisa tra un lavoro logorante e per nulla gratificante e una donna che lo tradisce quotidianamente con il suo migliore amico.
Questo fino al giorno in cui incontra Fox (Jolie) e Sloan (Freeman), membri della confraternita del fato che da mille anni garantisce l’ordine nel mondo, che lo addestrano ad essere una macchina letale capace di compiere azioni al limite delle umane possibilità, col fine ultimo di uccidere il reietto Cross (Kretschmann) che ha tradito la confraternita.

Adattando alla bene e meglio la serie culto dello statunitense Mark Miller (edita qui da noi dalla Panini Comics), Timur Bekmambetov, che già aveva mostrato una certa predilezione per i temi fuori dall’ordinario nei suoi due precedenti lavori (“I guardiani della notte” e seguito, con terzo capitolo in uscita), realizza un adrenalinico film non esente da difetti, capace in ogni caso di mantenere viva l’attenzione dello spettatore p
er l’intera durata.
O quasi.
Perno del film il giovane James McAvoy, che continua a sorprendere dopo le due belle prove in “Espiazione” e “Starter for 10” (da noi inedito) e che nonostante non faccia dell’espressività il suo punto di forza (patetica la sua prova ne “L’ultimo re di Scozia”) riesce comunque a rendere vivo il personaggio di Wesley Gibson.
Lo affiancano un’avvenente Angelina Jolie, la belloccia di turno che ha il solo scopo di attrarre in sala il pubblico di sesso maschile, Morgan Freeman, che recita in 36 film l’anno per i canonici dieci minuti, ricoprendo molto spesso ruoli affini e caratterizzandoli sempre con la medesima, imbronciata, espressione, e Thomas Kretschmann, villain atipico e altra sorpresa della pellicola, nonostante le fugaci apparizioni, tra un barattolo di burro d’arachidi e una finestra socchiusa.
Si, perché l’algido sassone (che gradiremmo vedere più spesso in ruoli di maggior rilievo) si rivela personaggio ostico quanto evanescente, risultando paralizzato da una sceneggiatura che lo inquadra come “cattivo” di turno senza che gli sia mai dedicato il giusto spazio, ma riuscendo nonostante tutto a risultare incisivo e convincente.

Purtroppo, e qui arrivano le dolenti note, la sceneggiatura è il vero tallone d’Achille della produzione, mai incisiva né tanto meno innovativa (ma realizzare un buon prodotto senza che lo fosse sarebbe stato ugualmente possibile, oltre che plausibile) e soprattutto lontana anni luce dal concept originale di Millar e Jones.
La svolta intrapresa da Morgan, Haas e Brandt annulla completamente ogni metafora presente nell’originale e tralasciando completamente le critiche rivolte alla moderna società (oltre che cambiando i nomi di alcuni dei personaggi principali) vira verso una più facile e di sicuro impatto impronta action, strizzando l’occhio al recente “Shoot’em’up - Spara o muori” (fiasco ai botteghini immeritato) e agli exploitation movie che tanto successo riscossero negli anni settanta del secolo scorso (e dimenticate il finto citazionismo Tarantiniano con “A prova di morte”).
Ma anche confrontandolo con la pellicola diretta da Michael Davis, l’esordio hollywoodiano del russo Bekmambetov ne esce sconfitto, peccando di manie di grandezza e stremanti sessioni di allenamento per niente interessanti e ricche altresì di cliché, precludendogli quindi un qualsivoglia raffronto con il primo John Woo (quello dei due “A better tomorrow” e “Bullet in the head” tanto per intenderci) o con gli action “canonici”, che hanno fatto la storia (e la fortuna) del genere.
Un’esagerazione lunga 110 minuti che esalta il lato meramente visivo, messo in risalto ancor di più dalla bella fotografia di Mitchell Amundsen, che già con “Transformers” di Michael Bay aveva ottenuto risultati soddisfacenti, rallegra gli occhi con le grazie della Jolie in bella mostra e conferma il talento di McAvoy (e ce n’era bisogno), ma che nulla aggiunge al vasto panorama del genere.
Una volta tanto non basta scollegare il cervello e godersi una sana iniezione di testosterone, soprattutto quando il punto di partenza è un’opera di culto.
Rimandato (nonostante l’enorme successo riscosso in sala) con probabile seguito.
Piccola parte per Konstantin Khabensky, protagonista per il regista kazaco, de “I guardiani della notte” e “I guardiani del giorno”, mal sfruttato invece il poliedrico Terence Stamp che ricopre un piccolo ruolo in cui si limita a scimmiottare il classico pezzo mancante per la risoluzione di un enigma fin troppo prevedibile.


Recensione a cura di Svengali

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