22.4.08

Recensione: The happiness of the Katakuris

Regia: Takashi Miike
Sceneggiatura: Ai Kennedy, Kikumi Yamagishi
Cast: Kenji Sawada, Keiko Matsuzaka, Shinji Takeda

Ennesimo prodotto fuori dagli schemi partorito dalla fervida visionarietà del prolifico regista nipponico, The happiness of the Katakuris si colloca metaforicamente al centro di un incrocio per il quale passano almeno una mezza dozzina di generi. Fin dall'introduzione in plastilina e stop motion, che ci racconta le avventure di uno strano esserino uscito da un piatto di minestra che viene divorato da un uccello e che rinasce nel suo uovo (tematica ricorrente in molti altri film dello stesso regista, quella della rinascita), il film di Miike appare immediatamente fuori da ogni schema logico o imposto da decenni di tradizione.
La suddetta sequenza animata, infatti, non si integra in alcun modo col resto dell'intero lungometraggio, salvo per l'utilizzo della stessa tecnica che sostituisce in ogni aspetto i personaggi e le scenografie in alcuni successivi passaggi del film, accentuandone notevolmente la componente surrealista.
La storia raccontata, intrisa di humor nero, vede protagonista la famiglia che da il titolo al film. Un famiglia a dir poco strampalata, che ha deciso di costruire e gestire una pensione in un luogo fuori dal mondo, ai piedi di un vulcano, in attesa di una strada non ancora costruita che, nella visione del capofamiglia, vedrebbe aumentare vertiginosamente la clientela. Clientela che durante il film sarà costituita da personaggi assolutamente deliranti che troveranno la morte in maniera più o meno accidentale proprio nella pensione della famiglia, che dovrà quindi essere unita nella decisione di non denunciarne la morte alle autorità e nell'occultarne i cadaveri, senza non poche difficoltà.
E' ancora la famiglia, quindi, il tema centrale attorno al quale ruota la narrazione del film (proprio come in Gozu, Kikoku o Visitor Q), tema che si rivela particolarmente caro al regista e che viene analizzato da prospettive spesso simili, ma complementari, nei sui numerosi lavori. La buona resa dei sentimenti che legano i vari componenti è manifesta grazie anche alla lodevole interpretazione del gruppo di interpreti, volti già visti in altri lavori dello stesso Miike ma anche in altri importanti prodotti cinematografici giapponesi.
Come si diceva, la storia raccontata e il modo in cui viene dato risalto a certi elementi è tipico della commedia nera, ma sono numerosissime le scene che si dissociano da questo genere e acquistano personalità propria. Oltre alle già citate parti in stop motion, infatti, troviamo all'interno del lungometraggio numerose scene cantate e ballate dall'intera famiglia e dai personaggi di contorno che nella maggior parte dei casi, pur non avendo nessun valore dal punto di vista strettamente musicale, si rivelano parecchio azzeccate e divertenti. Addirittura, la stravaganza di Miike ha modo di esprimersi in una di queste sequenze quando una voce si rivolge a noi spettatori e ci invita a cantare il pezzo successivo che è accompagnato dal testo a video come se si trattasse di una vera e propria sessione di karaoke. Che ci si cimenti o meno nell'impresa, cosa alquanto improbabile, è difficile non rimanere allibiti di fronte a una scelta che sembra prendere a pesci in faccia le regole più basilari del mezzo cinema. “Mattacchione di un Miike!” ci verrebbe spontaneo esclamare con un sorriso stampato sulla faccia, anche se da una parte ci si rende pur conto che l'intero film si fa carico di quella voglia di evadere gli schemi che è forse la caratteristica più bella del geniale autore.
Altrettanto incredibile è la naturalezza con cui si passa da segmenti puramente comici e nonsense ad altri tipici del cinema romantico o di quello horror. Eppure, nonostante tutte le caratteristiche che fanno di The Happiness of the Katakuris un prodotto altamente innovativo e sperimentale, ci troviamo di fronte a un film che può essere visionato senza timore da individui con abitudini, esigenze ed età decisamente eterogenee in quanto scevro dalla violenza sfrenata o dalle estreme scene di sesso presenti nella maggior parte della filmografia di Miike e guarnito di un ottimismo (anche nelle parti teoricamente drammatiche) che pervade ogni singolo minuto di pellicola. Ottimismo che che assume una connotazione paradossale nel volutamente irrealistico finale che vuole mostrarci realizzato il desiderio della famiglia Katakuris, un desiderio che trascende ogni cosa, persino la morte, nella testarda ricerca di quello a cui, a ben vedere, ogni essere umano sano di mente ambisce: la felicità e la pace all'interno del proprio nucleo famigliare.
E se è vero che durante la visione fra gli spettatori si susseguono le emozioni più disparate, quello che alla fine probabilmente rimarrà impresso sul volto di ogni individuo che si lasci coinvolgere dalle (dis)avventure dei una delle famiglie più improbabili della cinematografia sarà, semplicemente e piacevolmente, stupore.


Recensione a cura di Nosf

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