20.5.08

Recensione: Haze - Il muro

Regia: Shinya Tsukamoto
Sceneggiatura: Shinya Tsukamoto
Cast: Shinya Tsukamoto, Kaori Fujii

Un uomo si sveglia, c'è il buio intorno a lui. Fa fatica a muoversi, è quasi immobilizzato. E' ferito, ha perso la memoria e non sa perchè si trova in quel posto.

Comincia a strisciare e, fra i singhiozzi e i gemiti, cerca di dare una spiegazione alla situazione nella quale si trova. E' inutile, non ricorda nulla, ma le domande si fanno strada nella sua mente mentre si rende conto che l'ambiente che lo circonda, e nel quale cerca di divincolarsi, è strutturato in modo da mettere sotto tensione il corpo e la mente umana, apparendo come il folle disegno di una mente malata e soprattutto sadica. Mentre lotta per sopravvivere, spaventose immagini cominciano a farsi strada fra gli spazi delle pareti: in altre stanze uomini e donne sembrano implorare pietà mentre i loro corpi vengono smembrati e maciullati da orribili strumenti di morte. “E' questa la fine che farò” pensa lo sconosciuto protagonista. Ma mentre avanza fra i resti e il sangue delle persone che ha visto soccombere, il corpo di una donna compare nell'oscurità.
Questa, in sintesi, la prima parte di Haze, mediometraggio (49' circa) di Shinya Tsukamoto che oltre a regista è anche attore, montatore e direttore della fotografia.
Pur essendo uno dei prodotti più recenti partoriti dalla fertile creatività del cineasta nipponico Haze è in realtà più vicino a quelli che sono i suoi lavori d'esordio. Come in Tetsuo, anche in Haze lo spettatore è tenuto all'oscuro di quelli che sono i retroscena che potrebbero dare una spiegazione a molti dei quesiti che restano in sospeso durante e dopo la visione. Del protagonista non ci è dato di conoscere praticamente nulla, nemmeno il nome, ed è solo nelle bellissime sequenze finali che ci viene offerta la possibilità di costruire una chiave interpretativa.
La direzione in cui si spinge l'arte di Tsukamoto, in questo caso, non è quella di un cinema che vuole trasmettere concetti sintetizzabili in un semplice costrutto narrativo. Piuttosto, l'obbiettivo (pienamente raggiunto) di Haze è quello di usare l'immagine per rappresentare una situazione che consenta di rispecchiare degli stati interiori legati alla propria (sub)coscienza e individuabili nelle paure più inconfessate dell'individuo. E' nelle poche ma importanti frasi e in alcune fondamentali scene surreali che possiamo dare un senso a tutto ciò che avviene nel film, che possiamo identificare un simbolismo quasi sussurrato ma imprescindibile e facilmente identificabile dallo spettatore più attento. E' sicuramente questa la chiave di lettura che permette di apprezzare appieno le qualità di questo lavoro estremamente personale dell'autore di Vital.
Ma le qualità di Haze sono in realtà molteplici e indicative della strada verso la quale si può spingere (e si è spinta) buona parte del cinema horror (ma non solo) contemporaneo. In particolare stupisce l'efficacia che assume l'uso del digitale nelle mani di un artista come Tsukamoto: l'inquadratura si muove con una disinvoltura sorprendente, si avvicina al volto del protagonista, ne rivela ogni sfumatura, serpeggia nel buio e negli spazi stretti e dona al film una forma estetica che appare davvero nuova, fresca, diversa. Un risultato che sarebbe stato difficile raggiungere utilizzando il metodo di ripresa tradizionale. La musica e gli effetti sonori giocano inoltre un ruolo notevole nell'evidenziare l'imprevedibilità e la drammaticità “fisica” di certe situazioni che si vengono a creare durante la visione ma anche nel sottolineare i pochi dialoghi donando loro un potente sfondo emotivo. E' giusto spendere una parola anche per il Tsukamoto attore che si presta in un ruolo meno facile di quanto appaia riuscendo appieno nel trasmettere la angosce interiori, l'orrore e la disperazione. Kaori Fujii dal canto suo non è da meno, nonostante un ruolo meno enfatico dal punto di vista fisico rispetto a quello di Tsukamoto.
Già da tempo disponibile anche per l'home video italiano, Haze non solo è una visione obbligatoria per ogni fan del regista e per ogni appassionato di cinema giapponese contemporaneo, ma è anche un prodotto consigliato a ogni cinefilo che si rispetti e che voglia confrontarsi con un horror diverso dal solito, profondo e appagante, significativo, sperimentale, innovativo.



Recensione a cura di Nosf

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