Sceneggiatura: Isao Takahata
Cast (Voci): Corrado Conforti, Perla Liberatori, Beatrice Margiotti
Anno di produzione: 1988
Titolo originale: Hotaru no haka
Il capolavoro di Isao Takahata, spesso criticato e messo in ombra per le forti tematiche trattate.
L'orrore della guerra colpisce non solo i militari di stanza al fronte, ma anche gli inermi civili, proprio come Seita, che si vede costretto a scappare al rifugio antiaereo insieme al resto della popolazione del suo villaggio prendendosi in carico sua sorella Setsuko. Costretto a separarsi dalla madre la ritroverà solo in seguito, agonizzante in un letto per via delle profonde ferite riportate.
La vedrà morire sotto i suoi occhi, ma farà di tutto per far si che la sorella non venga a conoscenza del triste evento.
Dopo un periodo di convivenza presso alcuni parenti decidono quindi di stabilirsi in una grotta, ma la malnutrizione e l’ambiente poco salubre spegneranno anche la vita della giovane Setsuko.
Seita, costretto ad una vita di stenti e di solitudine, si lascerà morire lentamente, tra l’indifferenza dei passanti.
Era il 1988 quando usciva “Tonari no Totoro” (per i nostrani “Il mio vicino Totoro”), quello che sarebbe poi diventato il simbolo del noto studio Ghibli, ma era anche l’anno in cui usciva, un po’ in sordina per via del lavoro di Miyazaki, “Hotaru no haka”, scritto e diretto da Isao Takahata basandosi su un racconto dell’autore nipponico Akiyuki Nosaka.
Senza preamboli, senza rosee descrizioni e senza alcuna remora allo spettatore viene presentata la cruda realtà.
La guerra, la seconda guerra mondiale, ha segnato duramente anche gli uomini comuni, Seita e Setsuko erano uomini comuni, così come lo erano tutti gli uomini costretti a vivere l’orrore della guerra sulla loro pelle.
Attraverso lo spirito del giovane Seita ripercorriamo la triste vicenda che lo ha portato a perdere l’intera famiglia e la certezza in ideali e valori, come il possente impero Nipponico, che riteneva inossidabili.
Takahata trasforma in anime l’ossessione tipica dei cineasti del periodo, realizzando “Una tomba per le lucciole”, cupissimo e straziante, con momenti di rara poesia e di insostenibile crudezza per un cartone animato, da sempre simbolo di spensieratezza e serenità (ma è proprio grazie allo studio Ghibli se tale immagine è stata ampiamente sdoganata).
Il tratto stilistico non differisce molto da quello delle produzioni di Miyazaki, tuttavia è nei contenuti che Takahata percorre un percorso radicalmente opposto, se il primo è infatti alla costante ricerca di situazioni oniriche, immaginifiche, che prendano le distanze dalla realtà (pur trattando la realtà), il secondo (e ne aveva già dato prova durante la realizzazione di diverse serie televisive, dalla giovane Heidi alla fulva Anna) è maggiormente legato al “mondo terreno” e preferisce alle immagini suggestive immagini vere e forti, prova ne è l’ottima ricostruzione, non solo storica (la produzione si è avvalsa infatti della collaborazione dello storico Hideaki Anno) quando anche delle situazioni e del clima tipico del periodo, dai modi di fare della goffa Setsuko che lentamente sfila gli abiti per fare il bagno nel mare alla triste usanza di vendere gli oggetti cari e gli abiti dei defunti per ottenere una manciata di riso in più.
Takahata non lascia spazio alcuno all’immaginazione, se non nella breve apparizione delle lucciole, faro nella notte e motivo di compiacimento per la piccola Setsuko, limitandosi a seguire l’inevitabile incedere dei due fratellini verso un abisso di dolore e disperazione.
Il finale è un momento di rara poesia, esaltato anche da un’espressività perfetta dei volti e dalle evocative note di Michio Mamiya, e nonostante l’amarezza e il dispiacere provati, lascia comunque un senso di pace.
Imperdibile capolavoro dell’animazione giapponese, ovunque al cinema da noi direttamente in home video.
Recensione a cura di Svengali
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