24.2.08

Recensione: Non è un paese per vecchi

Regia e Sceneggiatura: Ethan e Joel Coen
Cast: Josh Brolin, Javier Bardem, Tommy Lee Jones, Kelly Macdonald, Woody Harrelson


Ghiaccio.
Sangue e ghiaccio.
Due occhi che non si dimenticano facilmente, una voce spenta, assente, come se venisse da luoghi, tanto per citare Dick, che noi umani non possiamo nemmeno immaginare
.
E’ questo Anton Chigurh (almeno in originale, la seduta di doppiaggio gli ha toccato un po’ troppo le corde vocali), angelo della morte e indiscusso mattatore (non per niente è candidato come miglior attore non protagonista e sono certo trionferà) dell’ultimo film dei Coen, “Non è un paese per vecchi” (una volta tanto la traduzione italiana rende giustizia al titolo originale).
Il ritmo è lento, l
e inquadrature sono studiate alla perfezione e ogni azione mette in scena ciò che è realmente, senza enfatizzare il tutto (come potrebbe fare un Tarantino qualunque).
Ogni singolo colpo di fucile trova un suo perché sia tra la righe dell’originale romanzo di Cormac McCarthy, cui va’ dato adito di aver creato un’opera di alto livello qualitativo, sia nell’omonimo film, ed il merito dei due fratelli
(che hanno anche adattato la sceneggiatura per il grande schermo) è quello di aver reso tangibili personaggi che sulla pagina scritta non godono di alcuna descrizione somatica e di aver creato un personaggio che difficilmente uscirà dall’immaginario collettivo.
Il tutto inizia per puro caso, Llewelyn Moss (Josh Brolin) nel corso di una battuta di caccia si trova accidentalmente coinvolto in una guerra fra trafficanti messicani ed entra in possesso di una borsa con due milioni di dollari.
L’unica cosa che può fare è corr
ere, scappare, prima che qualcuno o qualcosa lo uccida.
E da qui in poi è un crescendo continuo di tensione e di emozioni.
Il mito della frontiera, rigida e indifferente allo scorrere del tempo, è espresso perfettamente da personaggi degnamente caratterizzati (a cui non fanno seguito degli attori altrettanto in forma), arcigni e privi di sentimento alcuno, intrisi di dialoghi ridotti al minimo e di un sottesa ironia.
Moss è il perfetto archetipo del machismo western e al co
ntempo è un degno un outsider, capace poco a poco di accrescere la stima in sé stesso e nelle sue capacita (“non si arrende mai” dice Carla Jean al pensieroso sceriffo Ed Tom) ed arrivare a credere che possa esserci un futuro migliore, una possibilità di salvezza, che il folle Chigurh sia solo un brutto sogno.
L’audace scelta di non accompagnare l’azione scenica con una colonna sonora è stata ripagata, oltre che da una nomination per il miglior montaggio sonoro, anche con un coinvolgimento senza eguali (ogni minimo fruscio del vento scorre attraverso le casse, ogni riverbero della voce è tangibile).
Il film segue in parallelo tre storie e tre protagonisti (i cui desti
ni non si incrociano mai) e non è facile inserirsi immediatamente nell’ottica delle sceneggiatura, sfavorendo dunque un approccio immediato e subito immersivo.
“Non è un paese per
vecchi” si può tranquillamente etichettare come western, anche se atipico (le contaminazioni sono parecchio evidenti, ma ben calibrate e gestite nel corso dell’intera opera), non mancano infatti gli elementi tipici del genere, seppur alcuni molto estremizzati (il duello di Mezzanotte tra Moss e Chigurh con le strade vuote e il solo rumore dei proiettili a lambire l’aria fa un certo effetto), tuttavia la componente action, tanto cara ai contemporanei esponenti del genere, lascia il posto ad una narrazione serrata (forse a tratti leggermente macchinosa e forzata) in cui poco a poco tutti i pezzi trovano un loro posto e un loro perché.
Purtroppo non tutto quel che luccica è oro, la pellicola non è infatti esente da difetti, primo tra tutti un protago
nista (Josh Brolin) incapace di mostrare emozione alcuna e la storia risente anche di un vistoso calo nell’ultima mezz’ora, trascinandosi faticosamente, salvo riprendersi miracolosamente nei minuti finali, dispiegando il bandolo della matassa nella maniera più giusta.
C’è in ogni caso una scena che difficilmente lo spettatore, anche quello casuale, dimenticherà, il dialogo da apologia tra Javier Bardem e Gene Jones (il proprietario della stazione di rifornimento), il primo si pone con un cinismo così “naturale” e una freddezza tale da mettere a disagio non solo l’anziano negoziante, incapace di reagire e succube di un uomo, quasi inumano, che attenta alla sua vita pur facendo un discorso di per sé futile e banale, ma anche lo spettatore, completamente assuefatto dal dialogare freddo di Chigurh (il tocco di classe è la carta che da accartocciata lentamente si riapre, quasi a metafora di una vita incerta, che lentamente si riapre e dispiega tutta la sua mediocrità).
E’ sicuramente destinata ad entrare nella storia del cinema,
Purtroppo a quest’altra piccola perla fa da contraltare una prestazione mediocre di alcuni
membri del cast, oltre al citato Brolin anche la “consorte” (Kelly Macdonald, vista di recente in “Nanny McPhee – Tata Matilda) è afflitta da espressività latente.
Promossi invece Tommy Lee Jones, bravo come sempre, e Woody Harrelson, che si ritaglia un piccolo ruolo donando spessore ad un personaggio altrimenti evanescente.
In conclusione, non sarà sicuramente il miglior film dell’anno (come ostentato nella locandina italiana), nè tanto meno è esente da difetti, ma è quanto di meglio c’è candidato a questa 80ma edizione degli Academy (Lunedì mattina non perdetevi il nostro speciale) e rimane una valida pellicola, sicuramente meritevole delle candidature ricevute.
Con le dovute accortezze ora ci ritroveremmo ad osannare un capolavoro, dobbiamo invece limitarci ad un compiacimento per il ritorno dei Coen in grande stile, dopo le recenti delusioni.

(A)Tipico machismo di frontiera.


Recensione a cura di Svengali

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