10.3.08

Curiose affinità: Zodiac - Memories of murder

Zodiac


Regia: David Fincher
Sceneggiatura: James Vanderbilt (screenplay) Robert Graysmith (book)
Cast: Jake Gyllenhaal, Mark Ruffalo, Robert Downey Jr.







Memories of murder


Regia: Joon-ho Bong
Sce
neggiatura: Joon-ho Bong (writer), Kwang-rim Kim (writer)
Cast: Kang-ho Song, Sang-kyung Kim, Roe-ha Kim







Con questo articolo non si vuole certo affermare che due film appartenenti a scuole cinematografiche tanto lontane possano essere davvero l'uno fotocopia dell'altro, si vuole piuttosto puntare i riflettori su alcune peculiarità che li rendono affini e che li collocano ai margini del genere a cui appartengono, rendendoli di fatto interessanti e innovativi.
Innanzitutto lo spunto di partenza, che in entrambi i film è un fatto di cronaca, decisamente famoso nel caso di Zodiac, un po meno nel film coreano. Potrebbe apparire come una cosa banale, ma per un thriller poliziesco, dal quale tendenzialmente ci si aspetta qualche colpo di scena e un finale liberatorio in cui tutto (o quasi) si svela, significa privarsi di uno dei punti di forza del genere. Eppure entrambi i film sembrano non risentire di questa privazione e, prevedibilmente, al ter
mine della visione tendono a lasciare lo spettatore libero di interpretare i numerosi e intriganti dettagli e giungere a una personale conclusione, donando una sensazione di incompiutezza voluta e per nulla sgradevole. Caratteristica che, oltretutto, rende i film altrettanto piacevoli anche a ripetute visioni successive alla prima.
Essendoci pochi elementi per approfondire la natura e la psicologia del serial killer, in entrambi i casi assistiamo a un interesse decisamente anomalo rivolto agli uomini che ne seguono il caso. Un interesse che non mira a mettere in scena la vita privata dei detective (professionisti o improvvisati che siano) ma a scandagliarne i sentimenti, le emozioni e soprattutto le ossessioni. In effetti sembra essere proprio questa la tematica dominante in questi due lungometraggi tanto lontani geograficamente e culturalmente ma così vicini nel concept. L'ossessione come fenomeno (a)normale, affiorante in uomini che dedicano anima e corpo in una lotta impari che li vede di fronte non solo a un individuo che sembra quasi non esistere e che pare trovi gusto nel prendersi gioco di loro e del sistema al quale devono assoggettarsi, ma a una serie di situazioni capaci di minare la stabilità mentale di chiunque. L'ossessione come strumento di autodistruzione, e annullamento, tematica che, a ben vedere, si può tranquillamente trasportare al di fuori dal genere cinematografico in oggetto e applicare negli ambiti più disparati.
Sono due prodotti molto diversi in quanto a struttura filmica: compatto e ordinato il film di Fincher, dinamico e divagante quello di Bong Joon-ho. Eppure entrambi sono molto ostici e impegnano non poco lo spettatore abituato ai ritmi forsennati tipici di altro cinema. In ogni caso è difficile pensare che chiunque riesca a portare a termine la visione, mantenendo una certa attenzione ai dettagli a allo sviluppo degli eventi, non rimanga affascinato da casi che hanno a tutti gli effetti risucchiato la vita di molte persone, difficile credere che a qualcuno non rimanga un simbolico punto interrogativo nella mente dopo essersi reso conto che nonostante tanto impegno e tanta volontà, un solo uomo (beh, forse) sia riuscito a prendersi gioco di tanti altri messi assieme e di riflesso di noi che, impossibile negarlo, cerchiamo di dare una logica a qualcosa che probabilmente non ne avrà mai una.
Non rientra fra gli obbiettivi di chi scrive affermare la superiorità di un opera rispetto all'altra, si tratta di due prodotti di fattura eccellente, che affrontano una tematica e una situazione simile in un contesto sociale completamente diverso. Di certo il film coreano ha il merito di essere arrivato prima (2003) mentre quello americano sebbene sia giunto più tardi (2007), ha avuto il privilegio di essere sdoganato e pubblicizzato un po ovunque e di aver dato la possibilità a ognuno di apprezzare una decostruzione del genere thriller che cerca con successo di distogliere l'attenzione dal solito soggetto per concentrarsi su aspetti forse meno efficaci al fine del puro spettacolo ma interessanti contenutisticamente.
Il consiglio, pertanto, è di rivalutare il film di Fincher nel caso lo si fosse affrontato come un thriller di stampo classico, o nel caso lo si sia lasciato sfuggire al suo passaggio in sala, di recuperarne la visione immediatamente; senza dimenticare che quattro anni prima un film coreano poco conosciuto (ma disponibile su supporto DVD anche nel nostro paese) trattava le medesime tematiche in maniera altrettanto efficace, dando la possibilità di godere di un lungometraggio decisamente fuori dagli schemi e lontano dagli stereotipi che hanno caratterizzato un genere per decenni interi.


Un articolo a cura di Nosf

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