11.3.08

Recensione CineCult: Luci della ribalta

Regia: Charles Chaplin
Sceneggiatura:
Cherles Chaplin
Cast:
Charles Chaplin, Claire Bloom, Sidney Chaplin, Buster Keaton
An
no: 1952

C’era una volta un vagabondo che conteneva in sé tutte le sfumature positive dell’animo umano. Tristezza, comicità, sensibilità, ma anche orgoglio e dignità. La sua povertà non gli impediva di avere modi eleganti e abiti da gentiluomo (seppure in non perfette condizioni), nonché una certa spensieratezza. Nonostante la sua figura di emarginato – o magari proprio per questo – il vagabondo rimaneva piuttosto alienato dalla società, dalla frenesia del progresso e dagli orrori della politica. Conservava tuttavia amore per le piccole e semplici cose, un bambino pestifero, un fiore, un casolare abbandonato, un appuntamento con una fanciulla. Immaginiamo che questo vagabondo sia un attore, una maschera, l’ultima immagine della bontà dell’uomo, della semplicità e dei piccoli gesti. E adesso immaginiamo una guerra mondiale, un’immonda barbarie di un uomo su molti, milioni di morti innocenti, atrocità gratuite e senza uguali. Forse sarebbe il caso di appendere quella maschera tanto amabile e beata al chiodo. La maschera di Charlot, il vagabondo più celebre al mondo, è appesa al chiodo dopo Il Grande Dittatore e dopo la ferocia della guerra.
Chaplin rievoca i fasti del suo tramp nel 1952, mettendo in scena con Luci della rib
alta la storia intrisa di malinconia di un attore comico che ormai non fa più ridere, vecchio, surclassato dai tempi e alterato dall’alcol. Il clown salva una ballerina dal suicidio, infondendole nuova voglia di vivere e di fare carriera, e allo stesso tempo si convincerà a riprendere le redini della sua carriera d’attore. Ma il successo stenta a ritornare e il vecchio clown, piuttosto che le umiliazioni, sceglie di abbandonare definitivamente il palcoscenico. Torna a esibirsi in strada (cara a quel famoso vagabondo) favorendo così l’amore della sua ballerina con un giovane musicista (interpretato da Sidney Chaplin, figlio di Charles). Il vecchio si mette da parte per il nuovo, l’amore diventa distanza e sofferenza e di nuovo Chaplin intraprende la via della semplicità e delle piccole cose. Quando la sua amata lo ritroverà, gli proporrà di tornare al palcoscenico per l’ultima volta, in una celebrazione di quello che era stato in passato, in un’ultima travolgente esibizione per riscattarsi da quella così amara parabola discendente. E la grandiosità del clown ritornerà in tutto il suo successo, con un plauso senza fine del pubblico, perfetta ricompensa di una vita dove ciò che conta è il sorriso dello spettatore.
Triste, nost
algico e riflessivo, Luci della ribalta è il punto più alto della maturità di Chaplin. Giusta meditazione sulla macchina dello spettacolo, ma anche sulla voglia di vivere e sui corsi dell’esistenza. L’uomo e la maschera, la giovinezza e la vecchiaia, il successo, il fallimento. Trucco e specchi, dialoghi origliati, ombra e luce, mettono l’uomo davanti a sé, a ciò che è stato e a ciò che è diventato.
Il film è l’ultimo girato negli Stati Uniti prima della fuga di Chaplin, vittima della caccia alle streghe di McCarthy. Alla colonna sonora (opera dello stesso Chaplin) fu dato un Oscar postumo nel 1972.

Divertente l’ap
parizione di Buster Keaton, altro divo comico del muto, come partner di Chaplin nello spettacolo finale a rievocare i bei tempi con un pizzico di rimpianto.


Recensione a cura di Coda di Lupo

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