21.2.08

Eastern memories: Introduzione alla rubrica

25 Aprile 1961, Yojimbo (La sfida del samurai) approdava nelle sale cinematografiche giapponesi. Pochi mesi più tardi il film del grande maestro Akira Kurosawa veniva apprezzato dal pubblico italiano in occasione del festival internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Circa tre anni dopo, traendo ispirazione proprio dal film giapponese, faceva la sua comparsa nei cinema di casa nostra Per un pugno di dollari, il capolavoro di Sergio Leone, il film manifesto di uno dei movimenti cinematografici più apprezzati e omaggiati di tutti i tempi: lo spaghetti western. Quentin Tarantino, regista cinefilo per eccellenza, realizza nel 2003/4 Kill Bill, un progetto che fa delle citazioni il suo punto di forza. Lo sguardo del regista si rivolge principalmente in due direzioni: lo spaghetti western e il revenge movie orientale. Curioso binomio. Venezia 64, fra i film in concorso figura un certo Sukiyaki Western Django: nome alquanto curioso per l'ultimo lungometraggio di Takashi Miike, ma che lascia poco spazio ai dubbi riguardo la natura dichiaratamente referenziale del film. Nel cast figura Quentin Tarantino.

Non sarebbe difficile proseguire per ore menzionando, anche in modo piacevolmente contorto, esempi di cinema europeo e statunitense che prende spunto, anche nell'introdurre importanti novità all'interno di un intero genere (come il western nell'esempio sopra citato), da capolavori a volte discretamente famosi, ma più spesso ben poco conosciuti al di fuori del paese d'origine, di grandi autori giapponesi, coreani, cinesi... e viceversa, naturalmente, di tali autori che omaggiano, anche in modo piuttosto palese, film occidentali di una certa caratura (se volete un esempio provate a gustarvi l'esordio di Wong Kar-wai alla regia e poi non dite di non aver pensato a Mean Street di Scorsese). Questo continuo processo di interscambio la dice lunga sull'importanza che va giustamente attribuita a quelle correnti cinematografiche di paesi asiatici i cui principali esponenti, in molti casi, non sono mai stati distribuiti sul suolo occidentale e soprattutto in terra italica.

A questo punto sorgerebbe spontanea una riflessione sui meccanismi che muovono la distribuzione del cinema orientale, tanto nelle sale cinematografiche quanto sul mercato dell'home video. Se n'è parlato a lungo ed è difficile comprendere se il problema possa essere identificato nella poca voglia dei pigri distributori ad assumersi il rischio di investire in pellicole che, a detta loro, potrebbero difficilmente garantire un rientro economico adeguato o se invece è il pubblico ad essere completamente assuefatto dai manierismi del cinema mainstream, al punto da non desiderare altro che multisala con una programmazione divisa fra le produzioni hollywoodiane e l'ultima commedia italiana su una coppia in crisi. Probabilmente, è giusto dirlo, entrambe le cose. Ma resta il fatto che nei pochi casi in cui le due categorie sono riuscite a superare questi ostacoli (si potrebbero citare alcuni recenti successi mondiali quali OldBoy e Hero) i risultati sono stati se non sorprendenti, quantomeno appaganti per entrambe.

Qualcuno potrebbe tirare in causa l'impegno da parte dello spettatore che in effetti il cinema asiatico, a motivo di ritmi completamente diversi da quelli a cui siamo abituati, comporta durante la visione. Sicuramente questo è un notevole deterrente per il pubblico di massa, quello che si esalta soltanto di fronte ad effetti in CG da milioni di dollari. Ma i puristi, quelli che apprezzano i grandi capolavori del cinema italiano, quelli che si stupiscono di fronte all'utilizzo della luce nei film di Murnau e Lang, quelli che si commuovono alla visione dei film più introspettivi di Bergman... insomma, coloro che fanno del cinema non solo un passatempo, ma una vera e propria passione e che si dilettano nello scoprire i classici che hanno fatto la storia della settima arte, dovrebbero sentirsi in dovere di scoprire quello che il mercato asiatico ha saputo proporre nei decenni passati. E davvero, dall'epicità di Kurosawa alla quotidianità di Ozu, dalle passioni di Oshima alla poliedricità di Ichikawa, dai racconti popolari di Mizoguchi ai monster movie di Honda, ce n'è per tutti i gusti. Ma non è soltanto questo ciò che uno sguardo a oriente è in grado offrire. Perchè anche direzionando il nostro interesse ad un cinema meno classico nel senso più stretto del termine, anche ricercando un cinema moderno e di qualità, attuale e sperimentale, sul suolo asiatico troviamo pane per i nostri denti. L'esempio più lampante ci viene dato, probabilmente, dai tentativi spesso patetici di riproporre in salsa hollywoodiana le innovazioni che i registi del sol levante hanno saputo apportare al genere orrorifico nell'ultimo decennio. La tecnologia come mezzo per rappresentare le paure più recondite dell'uomo a cominciare da Ringu (forse uno dei pochi casi in cui il remake statunitense è altrettanto valido) è stata al centro delle tematiche nella quasi totalità dei j-horror più recenti (e non solo). Ma mentre nel caso dei lavori originali, quasi sempre sconosciuti in occidente al punto che la maggioranza delle persone non è nemmeno a conoscenza del fatto che molti horror americani siano in realtà dei remake, c'è stato un notevole sforzo di attualizzare il genere tanto da un punto di vista prettamente registico quanto dal lato squisitamente sociologico ( Kairo, il capolavoro di Kurosawa Kyoshi, è probabilmente l'esempio più lampante di questa interessante tendenza), nel caso dei remake occidentali abbiamo assistito a una stagnatura del genere, e nei casi peggiori a una vera e propria involuzione, resa evidente dai vani tentativi di stupire (?) cercando di spaventare lo spettatore, ma senza riuscire a ricreare il senso di inquietudine apprezzato altrove e soprattutto senza riproporre la medesima profondità di tematiche.

Tutto questo per dire che anche in tempi recenti la freschezza del cinema orientale dovrebbe costituire un attrattiva per diverse tipologie di appassionati di cinema. Dalla follia sperimentalista di Miike al minimalismo di Kim Ki-duk, dal romanticismo di Wong Kar-wai al cyberpunk del primo Tsukamoto, dall'animazione di Miyazaki al nuovo noir di Jonnie To, dagli yakuza di Kitano ai revenge movie di Park Chan-wook, è davvero difficile pensare che qualcuno possa non trovare allettante una cinematografia tanto varia e sconfinata.

Lo scopo di questa rubrica, che avrà l'esotico nome di Eastern memories, sarà quello di enfatizzare il cinema orientale, di riportarne le news più interessanti, di proporne approfondimenti. E soprattutto, si spera, di invogliare tutti coloro che forse sono sempre rimasti affascinati da un cinema così lontano dal nostro ma altrettanto interessante ma che forse per svogliatezza o per mancanza di tempo non hanno mai soddisfatto questo loro desiderio. E chissà che magari anche chi non ha mai fatto posto alla possibilità di estendere ad oriente le proprie conoscenze cinematografiche, leggendo gli articoli che compariranno in maniera il più regolare possibile su queste pagine, non trovino gli stimoli per buttare uno sguardo ad un cinema che ha dato grandi soddisfazioni a tutti quelli che hanno trovato la forza per approfondirlo.


Una rubrica a cura di Nosf

2 commenti:

mik ha detto...

bellissimo articolo, davvero interessante, ben scritto, ottimi esempi, davvero bello, mi era venuta qualche idea sul brano scritto e avrei voluto informarmi più sull'autore, ma l'aver letto nosf mi ha fatto passare ogni dubbio.
sempre complimenti

Nosf ha detto...

Ti ringrazio molto. Spero solo di poter contribuire, nel mio piccolo, ad accentuare l'interesse di coloro che visiteranno queste pagine nei confronti del cinema di cui ho parlato.

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