20.2.08

Recensione: Into the Wild - Nelle terre selvagge

Regia e sceneggiatura: Sean Penn

Cast: Emile Hirsch, Vince Vaughn, Cathrine Keener, Marcia Gay Harden, William Hurth

Cercare se stessi (e trovarsi) non è un'impresa semplice, ma pare che un uomo ci sia riuscito: Christopher McCandless.
"Into the wild" è la storia vera (già raccontata dall'ononimo romanzo di Jon Krakauer) di un adolescente che, come tanti, si sente intrappolato in questo mondo, in una vita fatta di menzogne, materialismo e circostanze; ma, come pochi, dopo la laurea trov
a il coraggio di partire lasciando indietro quella realtà così comoda ma tanto stretta: zaino in spalla, niente soldi e voglia di rinascere. E, spogliatosi del superfluo, rinasce.

La storia della sua seconda (e molto più sentita) vita è articolata in capitoli magistralmente sceneggiati e montati (il montaggio ottiene una nomination all’Oscar), a cominciare dal battesimo col quale Christopher (il giovane e caparbio Emile Hirsch) diviene significativamente Alexander Supertramp, attraversando adolescenza e maturità e concludendosi col raggiungimento della meta più agognata, l'Alaska, coincidente col ritrovamento del proprio io. S
e Chris fugge dagli spazi urbani contaminati e dagli uomini, Alex ritrova la sua essenza nella semplicità della natura primigenia, ma anche negli uomini. Sulle placide note di Eddie Vedder, percorre scenari ora tersi ora impervi e si imbatte in nuove esperienze e persone, in un vicendevole scambio e arricchimento destinato a lasciare profonde impronte. Impronte su un percorso controverso, perché mai Alex perderà la contraddittoria umanità dei sentimenti, determinato com'è nel raggiungimento del suo sogno, ma in bilico tra gli affetti e la sua meta, tra la natura selvaggia e appagante e lo sconforto di non poter condividere una felicità solitaria.

Sean Penn si mostra abile nello scavare nell’anima umana narrandoci un percorso smanioso e intimo e di ricongiungimento con il proprio “io” ma anche con il “voi”, sullo sfondo d
i una riuscita contrapposizione tra urbanesimo e natura, messa in risalto dal grigiore di una schiacciante e maligna metropoli nel primo caso e da campi lunghi dal respiro ampio e spesso estetizzante nel secondo. Il tutto non senza accorgimenti che ci ricordino che ciò cui stiamo assistendo non è fittizio. Mirabile, a riguardo, l’elogio alla Supermela che si conclude rompendo la telecamera, tagliando il ponte tra spettatore e attore, avvicinando chi guarda ad Alexander Supertramp piuttosto che a Emile Hirsch, in un gioco di intesa ed emotività diretta.
Così anche lo spettatore è chiamato ad essere complice di Alex e partecipe della sua scalata.
Ogni persona che incontrerà saprà donargli qualcosa e da Alex prendere altrettanto, di materiale quanto di spirituale (tra i comprimari, notevole l’interpretazione tenera e faceta del candidato all’Oscar Hal Holbrook).

La felicità è vera solo se condivisa? Può darsi.
Unica certezza è che la realtà di un'esistenza intensa come quella di Christopher McCandless accende inevitabili riflessioni sulla propria vita, dentro e ancora fuori la sala.


Recensione a cura di Coda di lupo

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