20.2.08

Recensione: Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street

Regia: Tim Burton

Sceneggiatura: John Logan
Cast: Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Alan Rickman, Sacha Baron Cohen

“Sweeney Todd” ovvero “come incassare tanto con niente”.

E’ stato, a detta del suo stesso regista (Tim Burton, a scanso di equivoci, ma sfido a trovare qualcuno che non conosca vita, opere e miracoli del “maestro” del gotico e del dark), un esperimento, ossia portare in superficie la “presenza” musicale e musicata che aleggia in tutti i suoi lavori, sottoponendo il genere al
suo personle restyling, alla sua personalissima visione del mondo.
Il risultato, tuttavia, non è dei migliori, e il tutto può esser ricondotto ad un mero esercizio di forma e stile, con un occhio al botteghino e
l’altro all’immagine ben curata. La fotografia è, infatti, di eccellente fattura, così come le scenografie dell’italiano Dante Ferretti (ennesima candidatura all’Oscar, ancora una volta meritata), le musiche sono ben congeniate (riprendono quelle dell’originale opera teatrale di Sondheim, riadattate per l’occasione da Paul Gemignani), ma è tutto il resto ad esser fiacco, a partire dalla sceneggiatura scritta da John Logan (nominato per “The Aviator”), scontata, banale e prevedibile, fino ad arrivare al cast, che non brilla certo per picchi caratteriali, Johnny Depp rifà sé stesso, occhiaie come se fosse uscito dall’uomo senza sonno di Anderson, Helena Bonham Carter che si rifugia per l’ennesima volta nel gotico e nel kitsch, dimenticandosi che i personaggi hanno anche altre sfumature, e tutta una serie di comprimari che risulta quanto meno irritante, se non del tutto fuori luogo.
Bravo invece Alan Rickman, sentirlo cantare con quella sua voce grave e malinconica mette inquietudine in ogni momento. La pellicola non è altro che una fotografia, in salsa Burton, dell’età Vittoriana, con critiche sfrontate alla società del tempo/moderna e grandguignoleschi spruzzi di sangue che campeggiano un po’ ovunque. Il tutto inizia in medias res, senza preamboli d’alcun tipo, ed è lo stesso, sfortunato, protagonista a narrare la sua storia, un po’ alla volta, fino al fatidico incontro con Mrs. Lovett (Helena Bonham Carter), che farà diventare i due la mente e il braccio di una spietata “organizzazione a delinquere”, seppur con intenti differenti.
Todd medita vendetta per le angherie subite dal giudice Turpin, la Lovett sogna invece un matrimonio e una felice convivenza con il funereo barbiere.
Serrati in quella che diventa una piccola bottega degli orrori, non c’è un battesimo del fuoco per il tenacie Todd, che tra un acuto e l’altro taglia le gole degli sfortunati clienti, in un turbinio di sangue, pasticci di carne e lame.
Innumerevoli sono, purtroppo, i problemi che affliggono la pellicola, in primo luogo un protagonista che fatica ad entrare nelle grazie dello spettatore, sfavorito anche dal fatto che per la prima mezz’ora si vede poco e niente (viene lasciato infatti spazio ad una serie di personaggi secondari ai fini della trama e che avranno un loro perché solo nel finale).
Ciò che è invece memorabile è lo scontro a suon di rasoi e schiuma da barba tra Adolfo Pirelli (un grottesco Sacha Baron Cohen, peccato venga sfruttato solo per questa breve parentesi) e il diabolico protagonista, tra ugole in fiamme, lame lucenti e “colpi” precisi e ben assestati, e tutta quella serie di duetti tra Depp e la Carter (o Rickman), anche se a volte la scena risulta confusionaria, preferendo alla commistione delle varie voci dei semplici, oserei dire banali, dialoghi, a cui è stata destinata invece ben misera parte nel complesso dell’opera, pesando anche sul giudizio finale. Onestamente mi domando perché il caro Tim venga osannato per ogni sua minima “creazione”, quando invece dovrebbe cercare di variare (o forse sarebbe meglio dire virare) dal suo attuale marchio di fabbrica, divenuto una inarrestabile macchina per fare soldi (ma ai paganti spettatori non pensa mai nessuno?), e soprattutto abbandonare i suoi attori feticci, Depp e la cara compagna Bonham-Carter. Potremmo vedere il film come prodotto antitetico al precedente “Edward mani di forbice”, il primo parte da uno stato di solitudine e di inquietudine per compiere la sua vendetta, utilizzando i suoi rasoi, quasi fossero estensioni del suo corpo, come strumenti di morte, il secondo fa della solitudine e dell’incomprensione il punto di partenza per una dichiarazione d’amore nei confronti dell’amicizia, dei sentimenti, Edward rigetta la sua condizione di deforme e alienato e cerca rifugio nella società.
Entrambi finiscono soli, finiscono male, entrambi sono interpretati da Depp, ma sono certo si tratti di pura casualità, inutile caricare il film di significati profondi e di rimandi a lavori precedenti, quando il tutto è abbastanza banale e sotto gli occhi di tutti.
“Sweeney Todd” soffre della famosa (ma sconosciuta ai più) “sindrome di Burton”, ossia hype eccessiva per un prodotto che a conti fatti vale veramente poco, ma si osanna ugualmente (ricordate, si tratta pur sempre di Tim Burton).

Tanto fumo e niente arrosto.

Spettatori a digiuno, cinefili occasionali entusiasti.


Recensione a cura di Svengali

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