16.3.08

Recensione: 10,000 a.C.

Breve nota a fronte: Quanto segue è volutamente ironico, prendere sul serio un prodotto come “10,000 a.C.” sarebbe dannoso sia per la mia salute che per quella di voi lettori/spettatori.E più che una recensione è da considerarsi come un racconto di quanto visto su schermo.Inutile dire che potrebbe essere svelata in parte o del tutto la trama del film.In conclusione troverete in ogni caso un breve commento (serio, almeno si spera).
Buona lettura

Regia: Roland Emmerich
Sceneggiatura: Roland Emmerich
Cast: Roland Emmerich... no, Steven Strait, Camilla Belle, Cliff Curtis


Diecimila anni fa, quando ancora non esisteva l’elettricità e i tecnici del montaggio non sapevano come trascorrere il tempo, viveva una tribù, chiamata degli Jagal (i titoli di coda non mi hanno permesso di verificare l’esattezza del nome), che abitava lande pressoché identiche a quelle viste ne “Il signore degli Anelli”, ad un certo punto ho anche sperato di intravedere un Balrog, ma invece niente.
L’intera tribù era composta da tizi coi dredds e la barba ben curata, loro caratteristica principale, e per sopravvivere ai lunghi inverni si dilettavano nella caccia ai Manek (Mammuth da 25 milioni di dollari che hanno scelto di avere un nome d’arte, forse per paura della brutta figura).
Come ogni tribù avevano la loro p
rofezia (proclamata da Whoopi Goldberg dopo aver assunto un’abbondante dose di peyote), secondo la quale colui che avesse sposato la ragazza dagli occhi azzurri, Evolet (già da piccola ci viene mostrata come una top model e che da ora in poi chiameremo Evola per comodità) avrebbe guidato la tribù verso una nuova era, ricca di prosperità.
Quel giovane era D’leh (d’ora in poi Dislessico, per la sua incapacità di esprimersi correttamente), abbandonato dal padre codardo in tenera età e affidato alle cure del saggio Tik Tik (d’ora in poi Dick Dick), ma lui ancora non lo sapeva.
Il giovane Dislessico trascorreva le giornate a lottare con i suoi coetanei (c’è anche il sosia di Bill Kaulitz, tanto per sfruttare la mania Tokio Hotel) e ad esercitarsi nel lancio del giavellotto (Pechino è vicina).
Ora il giovane Dislessico è cresciuto ed è arrivato il giorno della caccia al Manek, il giorno in cui Dick Dick cederà ad uno dei nuovi cacciatori la lancia bianca, simbolo del potere, e quello avrà il privilegio di sposare Evola.
La caccia fila via liscia, il
mammuth si fa impagliare per uno suo recondito spirito di conservazione e tutti brindano a Dislessico, che con astuzia e caparbietà è riuscito ad avere la meglio sul ciclopico animale.
Quando tutto sembra andare per il meglio (in realtà è trascorsa solo mezz’ora e gli sbadigli già si sprecano) arrivano i Turchi, usciti dal set de “Le crociate”, a rapire Evola e altri membri della tribù.
Dislessico, Dick Dick e il giovane Basquiat (in origine era Gollum, ma questo la produzione non ha voluto ammetterlo, si è poi evoluto nella controfigura di Jeffrey Wrigh) si mettono allora in viaggio per cercare di liberare tutti loro.
Dagli Appenini, in cui erano confinati, raggiungono un set tropicale, in cui vengono attaccati da degli struzzi giganti, fortunatamente senza nome.
Basquiat viene fatto prigioniero dai Turchi e così rimangono solamente Dislessico e Dick Dick, per giunta ferito, a cui non rimane altro da fare che proseguire il viaggio.
Durante la notte Dislessi
co ritiene giusto procacciarsi del cibo, ma precipita rovinosamente in un fosso finendo alla mercé di una tigre dai denti a sciabola (questa dev’essere costata molto meno dei mammuth, si vede lontano un miglio che è finta) che tutto fa’ fuorché mangiare lo sprovveduto Dislessico.
I due sfortunati viaggiatori raggiungono la Puglia, i trulli di Alberobello campeggiano sullo schermo e lasciano estasiati Dislessico e il povero Dick Dick, nonostante non sperassero quasi più di raggiungere la terra promessa (?).
Tuttavia Alberobello non è disabitata, vi abitano i locali abitanti, ovviamente ostili (almeno all’apparenza), ma è la tigre (?) de “Le cronache di Narnia” a salvarli da morte certa.
Il capo tribù, l’unico a parlare l’inglese (lingua della tribù degli Jagal), vede in Dislessico l’uomo della profezia, colui che guiderà i popoli dell’Africa/Puglia in guerra e darà loro la libertà dal popolo degli uccelli (più in là si scoprirà che sono realmente vestiti da uccelli, una volta tanto l’abito fa’ il monaco).
Si tiene dunque un consiglio delle varie tribù, vi partecipano quella dei Robocop, quella dei Papà Castoro, quella dei Kula (giuro che questa non è inventata), quella dei Vatussi e quella degli Aborigeni.
Tutti accettano di essere guidati dal giovane Dislessico, decidono allora di percorrere in lungo e in largo il deserto, fin quando non giungono presso la città degli dei (ma prima c’è il tempo perché Dick Dick muoia e corra ad incassare l’assegno del suo ingaggio).
La città è enorme, un misto tra Falluja e la città Maya di “Apocalypto”, mammuth e schiavi lavorano fianco a fianco nella costruzione delle piramidi/ziqqurat/altro termine a scelta.
Dislessico tiene un lungo discorso agli schiavi che decidono di insorgere e di schierarsi con i popoli africani/pugliesi contro gli egiziani/popolo degli uccelli e, il suo faraone/dio/vecchio sociopatico (a dire il vero speravo fosse simile al faraone visto in “Stargate”, ma così non è stato purtroppo) fa’ una brutta fine a dieci minuti dai titoli di coda.
I popoli dell’Africa/Puglia sono liberi ma prima del classico happy ending c’è ancora il tempo per Evola di morire e risorgere.
Gli Jagal (anche il giovane Basquiat) fanno ritorno al loro villaggio.
Tutti vissero felici e contenti.
Detto ciò, lasciando per un attimo da parte il clima goliardico creatosi (almeno si spera), pare ovvio che il problema maggiore di “10,000 a.C.” sia la debolissima sceneggiatura (tutto sa di già visto e di copiato in malo modo da diversi film), che mina non poco la visione del film.
Senza tener conto di alcune scelte di casting davvero discutibili (Cliff Curtis non ha proprio la faccia del primitivo, diciamolo, stessa cosa Camilla Belle), ma questo è un problema marginale.
Si salvano invece le scenografie e i mirabolanti effetti speciali, marchio di fabbrica di Emmerich.
A dire il vero, privato delle sue pretese di “a-storicismo” e visto nell’ottica del classico film d’avventura, risulta un prodotto discretamente godibile, a patto di scendere a compromessi con le falle (grandi quanto il foro creatosi nella carena del Titanic) della sceneggiatura.
Non me la sento di stroncarlo completamente, anche e soprattutto in virtù di una visione sul grande schermo, ma privo del climax tipico della sala cinematografica perde molto del suo (pochissimo) fascino.


Recensione a cura di Svengali


1 commenti:

Anonimo ha detto...

recensione fantastica! sei un grande

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