14.3.08

Recensione CineCult: Alien 3

Regia: David Fincher

Sceneggiatura: Walter Hill
Cast: Sigourney Weaver, Charles S. Dutton, Charles Dance, Pete Postlethwaite, Lance Henriksen

Terzo capitolo della saga di “Alien” (i due precedenti sono stati diretti da Ridley Scott e James Cameron), affidato all’americano, allora esordiente, David Fincher.
Il film riprende là dove finisce il precedente e vede il sergente Ellen Ripley (Sigourney Weaver) approdare con un atterraggio di fortuna su un pianeta adibito a colonia penale e scoprirà che non è la sola superstite dell’incidente.
La prima cosa a risaltare è l’ambiente circostante, con le maestose scenografie che vanno a disegnare uno scenario post-apocalittico.
Fincher evita i classici preamboli portando direttamente la telecamera nel mezzo della scena, caratterizzando l’azione scenica con dialoghi asciutti e concisi, mostrando sin da subito quelli che saranno i protagonisti della pellicola: Ripley, Dillon e Clemens.
La fotografia, dai colori spenti, per opera di Alex Thomson (direttore della fotografia anche per “Excalibur” e “L’anno del dragone”), contribuisce a creare un forte senso di oppressione e claustrofobia, “merito” anche delle scarse variazioni cromatiche, che non lasciano trasparire alcun particolare, se non la nera e lucida corazza dell’alien (il cui design è come sempre opera dell’artista svizzero Hans Rüdi Giger).
Il merito maggiore della sceneggiatura sta nell’aver creato una comunità che a conti fatti non lo è, non si avverte per nulla il senso di coesione tipico del gruppo e l’unico elemento che li accomuna è la fede, una sorta di fondamentalismo cristiano, apocalittico e conservatore.
Fincher, al suo primo lungometraggio, dosa alla perfezione le inquadrature (centellinando i movimenti della camera e prediligendo le inquadrature fisse), manca tuttavia il piglio autoriale che contraddistinguerà la sua opera in seguito.
“Alien³” svaria tra l’horror (con eccessi gore), il thriller e la fantascienza, come per i lavori futuri sono presenti i ritmi lenti e l’inesorabile incedere verso l’agrodolce finale.
Ciò che non è per niente gradito sono invece le brevi incursioni nel genere action che spezzano la visione del film ed eliminano il senso di immedesimazione venutosi a creare precedentemente.
Purtroppo non mancano i cliché tipici del genere, il soprintendente Andrews risulta infatti un personaggio piatto e stereotipato ed è ben chiara quale sarà la sua fine ancor prima che essa avvenga, stessa cosa per i dialoghi, ricchi di stereotipi e manierismi da film di bassa lega.
Non mancano le lacune nella sceneggiatura come l’inattesa l’evoluzione del personaggio di Dillon, per nulla approfondito, e che nel finale si ritrova a reggere le sorti dell’intera storia, relegando il personaggio della Weaver ad un ruolo secondario, quasi marginale.
Per quanto riguarda la figura dell’Alien si potrebbe quasi osare parlare di un ritorno alle origini, la “creatura” è protagonista di fugaci apparizioni, proprio come succede nel capostipite (“Alien” ndr.).
Condivisi in pieno invece i due tocchi stilistici e narrativi finali, mostrare l’inseguimento attraverso gli occhi dell’Alien (con un obiettivo simile al “Fish eye” usato in fotografia) e la simbolica conclusione con Ripley emula di Cristo che si sacrifica per il bene dell’umanità, tuttavia il grossolano finale, virato verso un happy-ending per forza di cose necessario, rovina l’esperienza.
Concludiamo con un breve commento sulle musiche composte da Elliot Goldenthal (compositore anche per “Heat” e “Frida”) che richiamano sonorità simili a quelle del John Williams di “Star Wars” (oltre ai classici leit-motiv tipici da film di fantascienza), e sugli effetti speciali, deludenti in alcuni frangenti (realizzare l’alien in computer-grafica si è dimostrata una mossa sbagliata).
Per nulla esente da difetti, risulta comunque una pellicola godibile, inquadrabile non nell’ottica del classico film “Fincheriano” bensì in quella del kolossal fantascientifico.
Claustrofobico.


Recensione a cura di Svengali

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