14.3.08

Recensione CineCult: Orizzonti di gloria

Regia: Stanley Kubric
Sceneggiatura: Stanley Kubrick, Calder Willingham, Jim Thompson
C
ast: Kirk Douglas, Adolphe Menjou, Ralph Meeker, George Macready, Wayne Morris, Richard Anderson, Joseph Turkel, Timothy Carrey, Emile Meyer, Suzanne Christian Harlan
A
nno di produzione: 1957


Film come Arancia Meccanica, Shining, Full Metal Jacket (e perché no anche Dr. Strangelove e 2001: Odissea nello spazio) hanno consacrato Stanley Kubrick come genio, idolatrato tanto dalla critica quanto dalle folle. I più grandi successi di questo talento a tutti noto, che hanno impresso più di un’immagine nella cultura di massa, spesso rischiano di oscurare il pregio di alcuni gioielli della sua giovinezza, forse ancora troppo acerbi perché il grande pubblico ne possa riconoscere il marchio autoriale o ancora per certi versi legati agli standard del cinema classico cui cronologicamente appartengono. Tra questi spicca Orizzonti di gloria, tratto dall’omonimo romanzo di Humphrey Cobb, film col quale Kubrick, sotto i trent’anni, dipinge un desolante quadro di guerra con pennellate amare e sfumature quanto più grigie. Non si tratta però di una guerra come le altre: in Orizzonti di gloria il nemico non si vede. O forse si vede benissimo, perché è dal medesimo lato del campo di battaglia.

Sul palcoscenico della Grande Guerra, fronte franco-tedesco, il generale Mireau ha l’ordine di attaccare il “formicaio” tedesco: un’offensiva quasi impossibile, che condannerebbe a morte certa la gran parte degli aggressori, ma che determinerebbe per Mireau un’allettante promozione. Il colonnello Dax (Kirk Douglas) è malvolentieri costretto a prendere il comando della missione, la quale fallirà in modo misero, finanche con il rifiuto di alcuni soldati a uscire dalla trincea. Quello che ne consegue è un processo per vigliaccheria mosso dallo stesso Mireau, processo al quale il colonnello Dax prenderà parte come avvocato difensore, ma che si concluderà con una sentenza capitale sulle teste di tre uomini scelti a sorte (o quasi) per ognuna delle tre compagnie coinvolte nella sciagurata operazione.

La scalata di alcuni uomini può pesare sulle vite d’altri. E’ impossibile agire o farsi valere se si è al gradino più basso della scala, perché chi è in cima può calpestarti per ascendere a panorami migliori. E’ una gerarchia che ad ogni livello mostra debolezza nell’alzare la testa e superbia nel guardare in basso (unica eccezione, il colonnello Dax).

L’arrivismo, la gloria e gli orizzonti di contro a una condanna a morte commissionata dall’uomo ed eseguita a braccetto col fato. Disperarsi è vano perché è un meccanismo a cui non si sfugge, sintesi di ogni possibile sopruso dell’uomo sull’uomo.

La destrutturazione del war movie classico è palese: gli alti valori morali stanno venendo meno, a prefigurare un cinema di guerra più vicino a noi, dove l’eroe e la patria sono ideali superati e la disperazione e la distruzione sono gli unici desolanti frutti della macchina bellica (si pensi alla follia tormentata di "Palla di Lardo" in Full Metal Jacket).

Recensione a cura di Coda di Lupo

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