25.3.08

Recensione: Colpo d' occhio

Regia: Sergio Rubini Sceneggiatura: Sergio Rubini Cast: Riccardo Scamarcio, Sergio Rubini, Vittoria Puccini

Il trio Rubini-Scamarcio-Puccini al servizio della (settima) arte.


Rubini torna in camera di regia dopo “La terra” e lo fa’ infondendo il suo inconfondibile (oramai) stile minimale al progetto, realizzando un prodotto posato, simmetrico e calibrato, in cui pian piano ogni pezzo, ogni risvolto, va’ a dipanare una matassa a tratti finanche troppo complicata e che a ben guardare risulta essere archetipo della classica storia di amori, tradimenti e vendette.
Rimandando a tratti al filone del cinema di genere ed elevandosi in altri a puro cinema autoriale.
Dunque un’opera ibrida che risente oltre che dell’incapacità espressiva del suo attore protagonista (Riccardo Scamarcio) anche di alcune lacune a livello di sceneggiatura.
Tuttavia risulta certa una evoluzione, sia caratteriale che artistica, del regista-attore.
Abbandonata la natia Puglia, scandita da colori caldi e confortevoli, Rubini, ha scelto come sfondo del suo ultimo film la Roma capitale, con fugaci “pennellate” in Abruzzo, a Venezia e a Berlino.
L’incipit della vicenda è dettato dall’incontro tra Adrian Scala (Scamarcio) e Gloria (Puccini), allieva e amante del noto critico d’arte Pietro Lulli (Rubini).
L’attrazione tra i due è lampante, lei finisce per rinunciare alla protezione del suo mentore-amante e lui sacrifica invece le sue amicizie e la vita semi-monastica condotta fino a quel momento.
Lulli non resta, tuttavia, a guardare ed organizza una singolare vendetta, orchestrando l’intera vicenda quale moderno deus ex machina, assaporando ogni singolo istante della caduta del promettente scultore.
Complice l’amore non ricambiato per la giovane Gloria, che si mischia alla follia e all’egoismo, che distruggerà ogni cosa nel corso della storia, e alla passione-sacrificio per l’arte (è lo stesso Lulli ha dire a Scala che sacrificare la vita per l’arte è una follia, non è certamente da tutti).
Un triangolo amoroso all’ombra di installazioni artistiche in cui Rubini non lascia nulla al caso, edificando con cadenza regolare, quasi maniacale, le basi della narrazione, sorretto dalla possente colonna sonora composta da Pino Donaggio e dalla sua bravura nel dare corpo e voce ad un villain al contempo ostico e ostile.
Peccato invece per Riccardo Scamarcio, ha sicuramente una sua fisicità e un suo carisma e, personalmente, ho notato un certo miglioramento rispetto al passato, ma sarebbe stato preferibile fosse afono o fosse doppiato in seguito, in quanto risulta incapace di dare un peso alle parole che fuoriescono dalla sua bocca, apparendo sempre afflitto (e non parlo del solo “Colpo d’occhio”) da un perenne senso di colpa, da un eterno conflitto. Ingiustificato.
Tra l’impossibilità di scendere a compromessi, sensi di colpa e dubbi (a)morali si arriva al finale agro-dolce, in parte prevedibile in parte liberatorio, in cui non viene lasciato spazio alla libera interpretazione e la vicenda si risolve fin troppo subitaneamente.
I pregi maggiori di questo “Colpo d’occhio” risiedono nella caratterizzazione dei personaggi, la cui figura di spicco è senza ombra di dubbio alcuno quella del critico Lulli, conteso tra l’Antoine Ego di Ratatouilliana matrice e un Andrew Wyke (“Gli insospettabili” n.d.r.) prima maniera, e in una storia interessante, che pur tuttavia parte bene per perdersi poi nella parte finale (già nel secondo tempo si riscontra comunque un certo calo, sia di spessore che di ritmo) con rimandi troppo sbrigativi ed inutili “se fosse”.
Non indimenticabile, ma sicuramente meritevole della vostra attenzione.
Qualche accortezza in più e alcune scelte differenti e sarebbe stato un prodotto gradevole, quasi indimenticabile.
Ma sarebbe stato anche un altro film.


Una recensione a cura di Svengali

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