2.3.08

Recensione: Jumper

Regia: Doug Liman
Sceneggiatura:
David S. Goyer
Ca
st: Hayden Christensen, Jamie Bell, Samuel L. Jackson, Rachel Bilson, Michael Rooker, Diane Lane


David Rice (Hayden Christensen) è un ragazzo come tanti, forse un po’ troppo timido.

Un giorno, per puro caso, trovandosi in pericolo di vita, scopre di potersi teletrasportare a suo piacimento dove più desidera.
Tuttavia non è il solo dotato di questa singolare capacità, ci sono altri “come lui” e c’è anche chi, come Roland (Samuel L. Jackson), gli da’ la caccia poiché li considera degli abomini.
E’ proprio la voglia di David di non esser più conosciuto come quello con la faccia da “riso lesso” che lo spinge a compiere atti amorali pur di avere una vita dignitosa.
Grazie al suo potere riesce ad entrare indisturbato nelle banche e a prendere tutto ciò che desidera, ma finisce per attirare l’attenzione del gruppo dei paladini, che pensa bene di porre fine alla sua esistenza.
La storia, seppur semplice, alla base di “Jumper” (tratto dall’omonimo libro di Steven Gould, inedito in Italia) era l’ideale per tirare fuori un valido film d’azione che, con largo e sapiente uso di effetti speciali (come ci si aspetterebbe da un prodotto simile), avrebbe potuto dire qualcosa di nuovo nell’affollato marasma che caratterizza il genere.
Ma Doug Liman (“The Bourne identity”, “Mr. & Mrs. Smith”) e David S. Goyer (fortuna vuole che quando si è dedicato alla stesura dello script di “Batman begins” avesse al suo fianco Christopher Nolan, altrimenti non oso immaginare i risultati) sono riusciti a buttare tutto (o quasi) alle ortiche.
La sceneggiatura, traballante come poche, non trova nell’originalità il suo punto di forza e già dalle battute iniziali si intuisce dove andrà a parare il tutto.
Sono molte le incongruenze presenti nella narrazione o gli eventi di fronte i quali ci si trova a storcere il naso (non tanto per muovere la classica critica “snob”, quanto per l’impossibilità di fare altrimenti), tra tutte il rapporto forzatissimo tra David e Millie (in versione adolescente interpretata dalla promettente AnnaSophia Robb, per poi ritrovarsi da adulta con le fattezze di una tizia il cui punto forte sono le labbra a canotto), che dopo anni e anni che non si vedono finiscono per ritrovarsi avvinghiati nel letto, ad 8000 km da casa, nel giro di 3 ore da quando si sono riconciliati.
Purtroppo il film non può contare nemmeno su di un protagonista che “buchi” lo schermo, deve accontentarsi invece di un Hayden Christensen (“Star Wars Episodio III) monoespressivo, capace di recitare male anche le poche volte, tra un balzo e il successivo, in cui è costretto a farlo e di una Rachel Bilson (“The Last Kiss”, remake americano de “L’ultimo bacio”, di mucciniana produzione) messa lì tanto per far presenza scenica.
Tra i “comprimari” spicca invece il giovane Jamie Bell (“Billy Elliot”, “King Kong”), bravo come sempre (personalmente tra i più promettenti della sua generazione) che da’ corpo al giovane Griffin, anch’egli dotato del potere del teletrasporto, fornendolo di una degna caratterizzazione.
Pessimo invece Samuel L. Jackson, veramente ridicolo con questo taglio (e colore) di capelli, complimenti a chi ha pensato il look del povero attore, già sfortunato di suo nello scegliere i ruoli da interpretare (l’ultima parte quanto meno decente la ricordo in “Unbreakable - Il predestinato”, di M.Night Shyamalan, risalente al 2000).
E ci sarebbe da riflettere anche sul resto del cast, con delle scelte di casting non particolarmente azzeccate, come quella di affiancare Diane Lane e Michael Rooker (vi consiglio di recuperare quel piccolo gioiellino di “Slither”), rispettivamente padre e madre di David.
Gli effetti speciali non fanno gridare al miracolo, ma fanno in ogni caso il loro dovere, esaltando oltre modo le capacità dei jumper e donando al film un senso di libertà “senza confini” (chiunque credo, almeno una volta, abbia desiderato teletrasportarsi in un posto particolare), ma oltre questo limite non ci si spinge.
Le location, innumerevoli e purtroppo non altrettanto incantevoli, non sortiscono nemmeno l’effetto di richiamare alla memoria le classiche immagini da cartolina, tanto è frenetico il ritmo e mal gestite le inquadrature.
Un budget esoso che ha portato poco e niente di buono (ripagato tra le altre cose da incassi abbastanza deludenti, il passaparola evidentemente ha fatto più male che bene).
Liman pecca di presunzione e finisce per prendersi troppo sul serio, rasentando invece il ridicolo.
Fortunatamente hanno ben pensato di farlo durare solo 88 minuti, evitando l'eventualità di dover chiedere aiuto a Morfeo.
Probabilmente, visto il finale aperto, ci sarà un seguito (nelle intenzioni della Fox questo dovrebbe essere il primo di una trilogia).
Valido prodotto per l’home video, valorizzerà il vostro FullHD da 50” e il vostro lettore BluRay, ma per il momento, visto che si trova ancora in sala, lasciate stare.
Io salto.
Oltre.


Recensione a cura di Svengali

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