Regia: Gavin Hood
Sceneggiatura: Kelley Sane
Cast: Omar Metwally, Reese Witherspoon, Jake Gyllenhaal, Meryl Streep, Alan Arkin
Per introdurre questa recensione è prima di tutto doveroso specificare il significato del termine rendition che da il titolo al film: è un termine forse poco conosciuto alla maggioranza che alla lettera significa “consegna” ma che, soprattutto negli ultimi anni, viene utilizzato sempre più spesso per denominare un tipo di azione adottata in particolare (ma non solo) dagli USA e dalla CIA per combattere il terrorismo, e che consiste nel catturare, deportare e detenere in maniera del tutto estranea alla legalità una persona sospettata di azioni terroristiche. Sebbene gli USA cominciarono a mettere in atto questa pratica dai tempi dall'amministrazione Clinton, è dai fatti dell' 11 settembre 2001 che essa ha subito un notevole incremento.
Rendition, del sudafricano Gavin Hood, si propone di rendere noto al mondo intero quanto un modus operandi di questo tipo sia da considerarsi soprattutto profondamente amorale ma anche, nella maggioranza dei casi, controproducente. E ci riesce in pieno.
Anwar El-Ibrahimi (Omar Metwally) è un ingegnere chimico egiziano sposato con una donna americana (Reese Witherspoon ), padre di un figlio, che ha studiato e che risiede ormai da anni negli Stati Uniti. Un uomo per bene in viaggio d'affari a Città del Capo che durante il suo rientro negli USA sale sull'aereo per il ritorno ma non vi scende più. O almeno questo è ciò che appare alla moglie incinta che lo attendeva ma che inspiegabilmente perde all'improvviso ogni contatto e non ha più la possibilità di ottenere qualsivoglia informazione relativa al suo uomo, l'unico dato in possesso della moglie sono i tabulati dei movimenti della carta di credito dai quali risulta evidente che sull'aereo quell'uomo c'era, e che le danno la possibilità di ottenere l'aiuto di un suo vecchio amico, operante in politica e con agganci ai piani alti. In realtà, a seguito di un attentato che ha provocato la morte di numerose vittime, fra le quali un cittadino americano membro della CIA, Anwar El-Ibrahimi, appena sceso dall'aereo, viene catturato e prontamente deportato in Egitto sotto le cure di Abasi Fawal, il capo delle prigioni segrete, che non va proprio per il sottile nel tentativo di estorcere informazioni al prigioniero. L'ordine è partito da Corinne Whitman (Meryl Streep), un insopportabilmente cinico capo dalla CIA, a cui è bastato un semplice sospetto per dare il via all'operazione. Nel frattempo, in Egitto, Douglas Freeman (Jake Gyllenhaal) deve prendere il posto dell'agente morto nell'attentato e partecipare all'interrogatorio, o per meglio dire alla tortura, nei confronti del sospettato. Come se non bastasse, il film ci racconta anche la storia d'amore fra Fatima (la figlia di Fawal) e il suo ragazzo, che può sembrare puramente accessoria durante il corso della visione ma che nello spiazzante finale assume un significato completamente diverso e mette in luce alcuni particolari volutamente nascosti fino a quel momento. Potrebbe sembrare difficile seguire le vicende di un così alto numero di personaggi e in effetti sulla carta lo è, in realtà già dopo pochi minuti ci si ritrova completamente in sintonia con le situazioni raccontate e con lo scorrere del tempo aumenta la certezza di trovarsi di fronte a un film corale di ottima fattura, sostenuto da una serie di interpreti che, pur non facendo gridare al miracolo, offrono una prova convincente.
E' indubbiamente un prodotto impegnato (ma non impegnativo) quello del futuro regista di Wolverine, un film che dimostra come sia possibile fare spettacolo parlando di temi tanto scottanti e scomodi senza necessariamente prendere posizione e lasciando al pubblico il compito di trarre le dovute conclusioni. Ed è un film che va oltre, non limitandosi a raccontare la storia di un ingiustizia, ma scandagliando anche il cuore dei numerosi personaggi che popolano lo schermo, donandoci uno spezzone della loro vita, dei loro sentimenti, della loro determinazione, del senso della giustizia che dovrebbe celarsi nella coscienza di ognuno di noi, della volontà di fare ciò che è giusto anche se a volte il risultato va contro i nostri stessi interessi.
La regia è davvero buona e avvalendosi di un ottima fotografia e di un uso ineccepibile dei colori riesce a creare atmosfere diverse in base alla situazione che di volta in volta viene mostrata. Ma ciò che convince maggiormente in questo prodotto è il montaggio, vero e proprio strumento attraverso il quale diventa possibile sorprendere lo spettatore, che nella parte finale si trova davvero disorientato e sconcertato, proprio come il protagonista del film ingiustamente sospettato di terrorismo (non diciamo altro per non rovinare la sorpresa a chi il film deve ancora vederlo). Difficile pensare che questa possa essere una casualità, molto più probabile invece che si tratti di un escamotage molto, ma molto, intelligente per accrescere l'empatia di chi osserva nei confronti di un uomo e di una famiglia vittime di una pratica assolutamente inaccettabile.
Un ottimo lungometraggio davvero, quindi. Ricco di tematiche importanti e necessarie che non pregiudicano la godibilità del film, che in effetti può anche essere considerato come un thriller piuttosto avvincente. Ma Rendition è soprattutto un film che fa del cinema un mezzo eccellente per dire alle persone, e agli americani, che nonostante tutto, nonostante i terribili eventi dell' 11 settembre, nonostante un terrorismo che davvero riesce nel tentativo di incutere timore, il fine non giustifica i mezzi.
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