14.4.08

Recensione: In amore niente regole

Regia: George Clooney
Sceneggiatura: Duncan Brantley, Rick Reilly
Cast: George Clooney, Renée Zellweger, John Krasinski, Jonathan Pryce

Una commedia romantica nel mondo del football professionistico.
Terza regia per George Clooney.


Fango.
Un manipolo di uomini corre dietro ad un pallone ovale, una mucca affranta li osserva, pochi, incerti, spettatori osservano questi improvvisati guerrieri lottare nel fango.
Questo era il football professionistico nel 1925.
Erba.
40000 spettatori che urlano e stridono in preda al delirio, un manipolo di giovani che insegue un altro pallone ovale e un sogno di gloria, un solo nome gridano all’unisono: Carter Rutherford, il proiettile.
Questo era il football collegiale nel 1925.
Dodge Connelly (Clooney) tenta vanamente di sbarcare il lunario, più con il cuore che con l’abilità in campo (tra i vari “Rin tin tin” e altri mezzucci riesce sempre ad imbrogliare e a raggiungere l’agognata meta e i sudati 6 punti), al contrario Carter Rutherford (Krasinski) non ha bisogno di presentazioni, è un eroe della grande guerra, da solo ha “messo ko” un intero plotone tedesco.
Il football professionistico arriva al giro di boa e termina così, in maniera amara, la sua breve corsa: pochi soldi, nessuno sponsor, campi impraticabili, spettatori assenti.
Connelly ha dunque il colpo di genio di ingaggiare Rutherford, che gioca praticamente gratis per la squadra di Princeton (e il suo viscido procuratore CC Frazier, interpretato da Jonathan Pryce) nella sua squadra per attirare un numero sempre maggiore di spettatori e rilanciare la categoria.
Tra i due si inserisce Lexie Littleton (Zellweger) rampante giornalista e aspirante al posto di assistente redattore, che dovrebbe smascherare le magagne commesse da Rutherford, eroe per caso, e finisce invece per far breccia nel cuore di tutti e due i giocatori.
Il football professionistico “diventa adulto”, ha nuove (sconosciute) regole, imposte da un apposito commissario federale, che anche gli arbitri faticano a ricordare e arriva il finale “very happy”.
George Clooney, tre anni dopo “Good night and good luck”, dirige una romantica commedia (tralasciando la traduzione italiana, classico espediente per la ricerca del guadagno facile) a metà tra il Woody Allen prima maniera ("La rosa purpurea del Cairo") e il congestionato Oliver Stone di “Ogni maledetta domenica”, in cui esplicita un’amorevole dichiarazione allo sport nazionale americano, riprendendo la critica a lui cara allo star system (al centro dei suoi due precedenti film), qui ancora ai suoi albori e privo dell’influenza, anche mediatica, che avrebbe avuto poi negli anni a seguire.
Forse un po’ troppo raffazzonato e semplicistico, ma è un tenero giocattolo che, sorretto dalle musiche ricalcanti sonorità tipicamente jazz/blues di Randy Newman (“Forrest Gump” e “Cars” tra i suoi lavori) e dalla ovattata fotografia di Newton Thomas Sigel (già collaboratore di Clooney in “Confessioni di una mente pericolosa”) riesce ad ammaliare e divertire, nonostante la scarsa originalità (il finale scontato ce lo saremmo risparmiato volentieri).
Bravo Clooney attore/regista, mediocre la Zellweger, granitico e pacioccone Krasinski, Pryce amorevole nella sua cattiveria.
Testa di cuoio (Clooney).


Recensione a cura di Svengali

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