15.4.08

Recensione: Su-Ki-Da

Regia e sceneggiatura: Hiroshi Ishikawa
Cast: Aoi Miyazaki, Hidetoshi Nishijima, Hiromi Nagasaku, Eita

Una delle caratteristiche più interessanti che accomuna buona parte del cinema giapponese contemporaneo è la ricerca costante di una forma filmica che faccia dell'immagine, più che della parola, il principale strumento espressivo all'interno del medium stesso.

Su-Ki-Da di Hiroshi Ishikawa porta all'estremo questa ricerca facendo del minimalismo il suo punto forza. Giocato sui profondi e lunghissimi silenzi, sui campi lunghi alternati ad inquadrature strettissime nelle quali i volti dei protagonisti sembrano faticare a muoversi (quasi a voler evidenziare il contrasto fra il senso di libertà e le difficoltà ad esternare i propri sentimenti e le proprie passioni tipico dell'età adolescenziale), sulla visione contemplativa che la regia ci fornisce in continuazione e con insistenza (notevole la fotografia che trova la massima espressione nei continui stacchi sui bellissimi paesaggi celesti), sulle parole non dette e sugli sguardi spesso fugaci ma sempre rilevanti, si tratta sicuramente di un film la cui visione può non essere facile da portare a termine ma che può dare grande soddisfazione a chiunque ricerchi un lungometraggio che si distacchi con decisione dagli schemi del cinema mainstream.
Il film è diviso in due parti distinte. La prima, in cui i due protagonisti adolescenti vivono la loro vita (solo apparentemente spensierata), in una monotonia quasi irreale e in una società totalmente distaccata, sospesi fuori dal tempo. La seconda, temporalmente situata ben diciassette anni dopo, nella quale li ritroviamo ormai adulti e immersi in un ambiente ancora distante ma nella sua urbanizzazione più opprimente e asettico, che trova sfogo soltanto nel momento in cui i due riescono a dar parola alle loro emozioni. Nel mezzo il nulla, in tutti i sensi. Perchè in quei diciassette anni che non ci vengono mostrati non accade praticamente niente, a dimostrare che quel niente che ci sembrava così costante anche nei momenti più intensi della pellicola era in realtà carico di un sottotesto emotivo potentissimo, forse non immediatamente individuabile ma in realtà unico mezzo per comprendere e giustamente apprezzare questo interessante film.
Dietro l'apparente semplicità della narrazione, c'è infatti un importante lavoro da parte del regista (anche sceneggiatore) nel cercare di rappresentare in immagini quelle piccole cose e quei gesti soffusi, quasi impercettibili, che identificano l'individuo, non solo in fase adolescenziale ma in ogni momento della vita, e che ne esplicitano gli aspetti più puri, i sentimenti più veri, anche se a volte repressi. Ed è sicuramente nella repressione dei sentimenti e nell'incomunicabilità che possiamo individuare una delle tematiche più interessanti che ci vengono messe di fronte, i protagonisti vivono le loro vite senza trovare il coraggio di venire al dunque e di essere realmente se stessi, e questo atteggiamento li allontana sempre di più e li distacca completamente nel primo dei due momenti realmente drammatici della storia, che pure avviene fuori campo.
Di certo gli attori contribuiscono attivamente alla buona riuscita della pellicola, dalla dolcissima Aoi Miyazaki (Heavenly Forest, Nana) all'impeccabile Nishijima Hidetoshi (Dolls, Casshern), che riescono in maniera ottimale a rendere rispettivamente la spensieratezza solo apparente dell'adolescente che non trova la forza per esprimere se stesso e dell'adulto che vive nel rimpianto delle proprie scelte.
Scremato del superfluo e ridotto all'essenziale, con l'obbiettivo preciso di sottolineare degli stati emotivi difficilmente rappresentabili senza retorica, Su-Ki-Da riesce benissimo nel proprio intento: quello di raccontare qualcosa di difficilmente sintetizzabile a parole, per il sommo piacere di chiunque ne sappia cogliere le impercettibili sfumature.


Recensione a cura di Nosf

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