8.6.08

Recensione Cinecult: La Via Lattea

Regia: Luis Bunuel
Sceneggiatura: Jean-Claude Carrière, Luis Bunuel
Cast: Paul Frankeur, Laurent Terzieff, Bernard Varley, Michel Piccoli, Jean Claude Carrière,
Anno di Produzione: 1966
Titolo originale: La voie lactée

Bunuel imbastisce una paradossale carrellata di personaggi per parlare di Dio, della religione e del messaggio di Cristo secondo il suo inconfondibile stile surreale.



Il cammino di Santiago, una strada percorsa da migliaia di pellegrini ogni anno, dal medioevo.
Una strada sacra, antica, che conduce al monastero di San Giacomo.
Santiago de “compostella”, questo il nome del luogo dove riposano i resti del santo: campo di stelle, secondo la leggenda.
Campo di stelle, come una galassia.
Da qui, il titolo, “la via lattea”.
La via lattea, la nostra galassia, si, ma anche e soprattutto, una via, appunto, che conduce attraverso il sacro ed il profano, una rotta confusa, misteriosa e dotta, occulta ed eretica.Questo è “La via Lattea” film del maestro Luis Bunuel. Un pellegrinaggio, in realtà un pretesto per parlare di Dio, della fede, della mistica. Del cristianesimo, di Cristo, del dogma, dell’eresia.
Due mendicanti sono sul cammino di Santiago, si chiamano Pierre (Pietro) e Jean (Giovanni). Percorreranno la via sacra, compiranno il loro pellegrinaggio sotto una strana stella.
Un uomo, distinto ma come d’altri tempi, con un mantello ed un cappello a cilindro nero ed altissimo consegnerà loro una moneta d’oro e si congederà con una profezia: i due incontreranno una prostituta e da lei avranno due figli: “Tu non sei il mio Popolo” e “non più Misericordia” i nomi che a questi dovranno dare.
La via per Santiago sarà un viaggio surreale, spesso onirico, una carrellata intrigante e sorprendente su una serie di figure ambigue, spesso insani, improbabili, sempre seducenti, interessanti.
Dal prete da manicomio che discute della transustanseazione, al capo cameriere che disserta con i suoi sottoposti delle nature del Cristo; dal Vescovo Priscilliano di Avila ad un Gesù mai così umano, passando per visioni, teofanie, duelli dogmatici e fanatismi.
Un carnascialesco scorrere di eventi, apparentemente non legati tra di loro, girato con gusto e sapienza, mai stancante, mai noioso, verboso o lezioso. È delicato, Bunuel, intelligente, colto, e il film ha un ritmo fantastico, riesce nei suoi intenti stranianti ed un po’ paideutici a colpire lo spettatore ad interrogarlo; a far luce sulle contraddizioni della dottrina cristiana, sulle sue esasperazioni, sulle sue eresie.
Bunuel vuole parlare di Cristo. Vuole parlare del suo messaggio, della sua umanità. È un cristo, quello che il maestro ci mostra, che ha fratelli, che ride, che mangia e beve, che sente quasi il peso di essere “figlio di Dio”. I suoi miracoli sono speranze, illusioni, sogni forse.E la chiesa ha travisato il suo messaggio, l’ha pervertito. E la perversione ha portato i fanatismi e le perversioni più grandi: come quella di Priscilliano, vescovo di Avila (probabilmente sono suoi i resti del presunto San Giacomo, riesumati dopo secoli di segregazione e per caso, verso la fine dell’800) che officiava orge di purificazione, poiché l’uomo, ovvero la sua anima, reclusa dal corpo doveva essere liberata offendendo quest’ultimo oltre ogni misura, attraverso il peccato della carne.
Il sesso come via per la purificazione dell’anima attraverso la mortificazione del corpo.
O fanatismi, come quello della suora che volendo seguire il cristo nel dolore della carne e dello spirito, si fa crocefiggere in chiesa. E anche su questo, magari Bunuel scherza, sadicamente, essendo chiaramente a conoscenza delle voci che vogliono Gesù sfuggito alla crocefissione, sostituito proprio da quel San Giacomo, suo fratello di sangue.
O ancora, questa perversione porta al rifiuto, alla negazione di Cristo e di Dio. Come per il marchese de Sade che, irato, digrignando sibila: “Ah se Dio esistesse, quanto lo odierei!”O forse, alla pazzia più vera, clinica, come il prete che, contraddetto, dà di matto e viene riportato in manicomio dall’ambulanza.Ma “la via lattea” non è solo questo. È anche una profonda riflessione sul potere, incarnato dal demonio, “operaio mai in sciopero” probabile riferimento al regime Franchista. Una riflessione sull’uomo sulla sua umanità tradita, ferita, perversa da un credo pervertito e stanco. La storia dei due studenti, Rodolfo e Francesco, segnata prima dalla visione della Madonna e poi dalla presenza costante ed invadente di un dotto prete che spiegherà loro fatti riguardo il matrimonio, la fede e le eresie sulla madre del cristo è forse a vessillo di questo tema.
Il film, inoltre, è strettamente segnato da un’ottica alchemica; lo stesso “compostella” è il titolo di un volume del secolo XIII attribuito a Bonaventura da Iseo e la stessa cittadina di Santiago fu meta di pellegrinaggio di illustri alchimisti come Raimondo Lullo e Nicolas Flamel, probabilmente attirati lì dal sincretismo religioso che vi albergava ed alla pesante influenza della tradizione sapienziale ermetica.
Come ermetici sono i riferimenti al dualismo umano, alle eresie di priscilliano, alla teosi.Anche l’immagine del cristo è cara ad una interpretazione eminentemente apocrifa, gnostica per lo più, influenzata dai ritrovamenti papiracei di Qumran e Nag Hammadi.
E Pierre e Jean? Che fine avranno fatto?
Pierre e jean rappresentano forse proprio Pietro e Giovanni. L’uno, continuatore (e deturpatore) del messaggio di Cristo dimentico di quella misericordia professata da “colui che verrà a portare la spada” (Mt 10, 34); l’altro prosecutore del credo messianico tipico della cultura giudaico cristiana che quel messia “eretico”, uomo, che Bunuel vuole tratteggiare, ha cercato di recidere definitivamente con quella spada, che è venuta a portare.
Forse è questo il messaggio più importante de “la via lattea”, magari quello meno nascosto, il meno “ermetico”.
Ma certamente non l’unico.

Non ego haereticus sum, sed ille qui Papae titulum sibi assumpsit.


Recensione a cura di Assurbanipal


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