8.6.08

Recensione: Tropa de elite - Gli squadroni della morte

Regia: José Padilha
Sceneggiatura: Bràulio Mantovani, José Padilha, Rodrigo Pimental
Cast:
Wagner Moura, Caio Junqueira, André Ramiro, Fernanda Machado


Da un libro verità la sconvolgente vita nelle favelas brasiliane vista attraverso gli occhi dei membri del BOPE.


Pochi mesi prima della visita di Papa Giovanni Paolo II in Brasile, nel 1997, la Polizia Militare e il BOPE operano per garantire al pontefice sogni tranquilli.
Le vite di tre uomini, Nascimento (Moura), Neto (Junqueira) e Matias (Ramiro), si incroceranno irrimediabilmente tra le intricate vie delle favelas, in cui il sangue scorre più dell’acqua.
La pellicola di Padilha (già regista del documentario “Bus 174” sul sequestro del 2002), vincitrice dell’Orso d’oro all’ultimo festival di Berlino, è la perfetta antitesi al film di Fernando Mereilles che nel 2002 aveva narrato in maniera sapiente la genesi della criminalità organizzata nelle favelas di Rio de Janeiro (“City of god”).

Al centro della sceneggiatura (Mantovani è coinvolto in entrambe i progetti), tratta dall'omonimo libro scritto da un ex membro delle forze speciali, i membri del BOPE (Batalhão de Operações Policias Especiais), ristrettissima cerchia di uomini addestrati a gestire le situazioni più intricate e modello per le forze speciali del mondo intero, un manipolo di uomini (sono circa un centinaio) capaci di affrontare grazie ad una ferrea preparazione gli eserciti che pullulano le baraccopoli di tutto il Brasile.
Un prodotto dal forte impatto visivo, in cui i momenti di tensione non mancano (quasi) mai e l’attenzione dello spettatore è sempre catalizzata da sequenze crude, girate molto spesso con telecamera a spalla per star dietro agli uomini col teschio, e dialoghi serrati, che poco spazio lasciano all’immaginazione, il tutto agevolato dalla fotografia di Lula Carvalho (“City of god”) dal forte impatto visivo.

L’intera vicenda si snoda intorno alle vite di tre uomini, un capitano del BOPE, Nascimento (un bravo e freddo Wagner Moura), completamente assorbito dal suo lavoro al punto da trascurare la sua famiglia anche nel giorno in cui viene al mondo suo figlio, Neto
, assetato di azione e desideroso di portare la legge nelle favelas, e André Matias, diviso tra l’amore per una donna e la BOPE.
Capita di identificarsi con i protagonisti (soprattutto quando si ritrovano a mostrare il loro lato umano, fatto di sensi di colpa e dolori lancinanti) nonostante la loro caratterizzazione sia molto superficiale e la sceneggiatura in alcuni frangenti risulti alquanto lacunosa (tutta la parte centrale della pellicola è al limite del soporifero, si salva solo la parte dell’addestramento), e probabilmente era l’obiettivo primario della produzione quello di garantire un forte senso di immedesimazione (parafrasando, nella mezz’ora centrale il colpo di sonno non viene solamente a Matias).

Il maggior pregio di “Tropa de elite” è quello di non voler lanciare messaggio alcuno, senza alcun falso moralismo, presenta esattamente le cose come stanno: la polizia è corrotta, nelle favelas l’ordine è mantenuto dal Comando e la BOPE è una sorta di setta che più che amministrare giustizia, o meglio oltre ad amministrare la giustizia, decide chi debba vivere e chi no, utilizzando molto spesso metodi brutali e poco ortodossi.
Mancano le emozioni di Buscapé, i sorrisi di Bené o la follia di Zé Pequeno (Baiano, colui che “amministra” la favela di è solo una povera macchietta senza né arte né parte, ad uso e consumo del volere delle divise nere), ma quello era un altro film.
Con ottimi attori e ben girato, racconta senza giri di parole la violenza efferata, la corruzione dei poliziotti (e del sistema tutto) e l'ipocrisia dell'elite carioca che da un lato protesta contro la violenza, mentre dall'altro chiude gli occhi e svuota le sue tasche pur di metter le mani sulle stesse droghe che la provocano.

L’eterno dilemma (“Il fine giustifica i mezzi”) trova pratica applicazione nella pellicola, dove pare lecito (per non dire obbligatorio) utilizzare metodi non convenzionali per situazioni al di fuori dell’ordinaria routine.
Si lascia guardare con la premessa di scendere a patti con la sceneggiatura e non attendersi nulla di diverso da un crudo spaccato di vita quotidiana che ha poco da raccontare ma molto da mettere in mostra.


Recensione a cura di Svengali

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