27.2.08

Recensione import: Vital

Regia: Shinya Tsukamoto
Sceneggiatura:
Shinya Tsukamoto

Cast:
Tadanobu Asano, Nami Tsukamoto, Kiki, Ittoku Kishibe, Kazumi Kushida

Se è vero che dando una scorsa alla filmografia di Tsukamoto è facile fare un distinguo (che non si intende approfondire in questa recensione) fra le sue prime opere (tra le quali senza dubbio il graffiante, delirante, visionario Tetsuo, uno dei film manifesto del movimento cyberpunk in ambito cinematografico, ne è il portabandiera) e quelle comprese tra il poco conosciuto Gemini (guarda caso ambientato per la prima volta in un periodo non moderno) e il recente Nightmare Detective, con l'unica eccezione del mediometraggio Haze che ritorna se non alle tematiche quantomeno alla struttura di Tetsuo, è altrettanto vero che c'è un tema fondamentale, affrontato da diverse angolazioni senza dubbio, ad accomunare la quasi totalità dei film del maestro giapponese: il corpo e il dolore intesi come strumenti di ricerca e di comprensione. Vital, che appartiene alla seconda categoria e che dal punto di vista di chi scrive ne è il massimo esponente, non fa eccezione.
Hiroshi (un Tadanobu Asano in grandissima forma, dall'espressione volutamente persa e gelida) e la sua ragazza Ryoko (Nami Tsukamoto)
restano coinvolti loro malgrado in un terribile incidente d'auto. Il primo si risveglia in ospedale e, totalmente mancante della memoria, scopre che la sua compagna non è sopravvissuta allo scontro. Comincia per lui un durissimo rientro nella società e alla vita di ogni giorno. Aiutato dai famigliari, riprende il suo corso di medicina e instaura un rapporto con una nuova ragazza di nome Ikumi (Kiki) che frequenta lo stesso corso. Ma le cose cominciano a degenerare quando Hiroshi si rende conto che il cadavere a lui assegnato per il corso di dissezione è proprio quello di Ryoko. Ma ciò che inizialmente potrebbe apparire come uno scherzo beffardo del destino diventa per il protagonista una possibilità per (ri)stabilire un contatto con la ragazza morta, o meglio con ciò che ne resta di lei.
La memoria comincia a riaffiorare mano a mano che l'autopsia procede, ma assieme a questa cominciano anche a manifestarsi delle visioni e questo permette a Tsukamoto di sprigionare tutta la sua vena creativa contrapponendo alle sequenze statiche e asettiche ambientate nella sala di dissezione, tutta una serie
di visioni surreali e allucinanti che descrivono Hiroshi mentre incontra Ryoko in quello che potremmo definire un non-luogo (forse l'aldilà, forse la stessa psiche di Hiroshi, forse l'anima o l'essenza di Ryoko) nel quale ciò che resta della sua ragazza, comunque rappresentato dal flessuoso corpo di Nami Tsukamoto, può esprimersi non a parole (che probabilmente sarebbero risultate eccessivamente formali e stucchevoli) ma con una splendida e, a tratti scatenata, danza. Solo nella parte finale del film la ragazza (o forse la mente del protagonista) si esprime confidando i suoi sentimenti ad Hiroshi (quindi a se stesso) ed esprimendogli tutta la sua paura di essere abbandonata e il suo desiderio di restare accanto a lui. Ma al termine di questo viaggio all'interno del corpo (o dell'anima) di Ryoko, venendo quindi a mancare quello che a tutti gli effetti era l'unico ponte fra il protagonista e la sua fidanzata, Hiroshi, finalmente, comprendendo la necessarietà di tal decisione, troverà dentro di se la forza per “lasciar andare” definitivamente Ryoko fra i rigagnoli della pioggia in un ultima breve visione carica di una poesia e di un lirismo che, davvero, scaldano il cuore. In effetti Vital è anche un film sull'amore o, per essere più corretti, sulla mancanza dell'amore, sul vuoto nell'anima che una perdita improvvisa può causare, sulle conseguenze che tutto ciò comporta a livello mentale, su come è possibile riempire un tale vuoto nella propria vita.
Come si intuisce, i temi affrontati da questo capolavoro del cinema giapponese contemporaneo sono estremamente complessi e si prestano a diversi piani di lettura. Temi che in un certo senso avvicinano questo film, ma per esteso tutta la filmografia del regista, al cinema di
un altro grande autore contemporaneo, quel Cronenberg che ha costruito la sua carriera intorno alle tematiche inerenti il corpo e il suo rapporto con la società moderna e con l'era tecnologica. Ma attenzione, se l'interesse del regista canadese è rivolto in primis alle conseguenze fisiche e alle mutazioni, rendendo di fatto i protagonisti dei suoi film vittime di una degenerazione, Tsukamoto ha intrapreso nel corso della sua filmografia una strada diversa, interessandosi a come che il corpo può diventare, non senza certe conseguenze sia chiaro, un mezzo per ritrovare se stessi o per comprendere la propria, reale, natura. In ogni caso, il modo in cui Tsukamoto riesce ad approfondire tali tematiche senza ricorrere alla retorica e con la sola forza della sua straordinaria tecnica registica ma anche della splendida fotografia e del montaggio (entrambi curati dallo stesso regista, come accade nella maggioranza dei suoi film), è solo l'ennesima dimostrazione che tale cineasta è fra i più talentuosi attualmente in attività, non solo in terra nipponica ma anche a livello globale.
Resta un mistero il motivo per cui un film di tale portata non sia stato adeguatamente distribuito nella nostra nazione, nemmeno sul mercato home video. Vital è un opera straordinaria, che tutti gli amanti di Tsukamoto sono obbligati a visionare, ma che, in effetti, essendo da considerarsi senza ombra di dubbio come una delle opere più importanti degli ultimi decenni, deve essere considerata e ricercata da ogni persona che si dichiari davvero appassionata di cinema. Un film che ti tocca dentro, che ti si insinua fra le pieghe dell'anima, che ti ferisce, ti colpisce, ti commuove e ti costringe a riflettere. Un film da vedere e da amare. Assolutamente.


Recensione a cura di Nosf

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