4.5.08

Recensione: Il treno per il Darjeeling

Regia: Wes Anderson
Sceneggiatura: Wes Anderson, Roman Coppola, Jason Schwartzman
Cast: Adrien Brody, Owen Wilson, Jason Schwartzman, Amara Karan, Wallace Wolodarsky, Waris Ahluwalia

Il talento visionario di Wes Anderson al servizio di un road movie, anzi di un "train movie", spirituale e psichedelico.



Tre fratelli, Francis (Wilson), Peter (Brody) e Jack (Schwartzman) dopo un anno di distacco, si ritrovano in India in un treno diretto nel Darjeeling alla ricerca dell’incarnazione dello spirito paterno (probabilmente all’interno di una tigre albina), con la speranza di poter ricucire i rapporti familiari e l’auspicio di rivedere la madre (Huston) che li abbandonò in tenera età.
Un viaggio fallimentare sotto il profilo della ricerca, tra amori disillusi e piccoli teatrini, ma significativo per la loro crescita interiore.
E’ innegabile che Anderson goda di un personalissimo senso estetico, in cui predomina il “mondo” visionario, oscillante costantemente tra il vintage e il glamour, e che lascia sempre un solco profondo oltre che nell’approccio al film anche nella mente dello spettatore (anche del più occasionale).
I tre fratelli Whitman, metaforica personificazione (volontaria o meno, questo non ci è dato saperlo) del pensiero dell’omonimo scrittore americano Walt Whitman, inseguono un utopico sogno di libertà, da loro stessi oltre che dall’attanagliante mondo cosmopolita contemporaneo, compresso tra repressa sessualità e impossibilità di comunicare.
Al solito Anderson ha la capacità di tradurre in immagini le sensazioni e, abbandonata la natia New York, come per il precedente “Le avventure acquatiche di Steve Zissou”, compie un metaforico (oltre che fisico) viaggio nella regione indiana del Darjeeling.
Ma il luogo in questione, che all’apparenza potrebbe sembrare solo un pretesto narrativo, si rivela invece determinante nel sostenere completamente uno schema narrativo altrimenti fragile e non particolarmente ispirato, diversamente da come è stato per i suoi precedenti lavori (checché se ne dica reputo “Le avventure acquatiche di Steve Zissou” un valido prodotto d’intrattenimento caratterizzato da una comicità intelligente).
Anche qui si ride, delle solite trovate grottesche “alla Anderson”, ma come nelle precedenti pellicole al tutto fa da sfondo una vena di malinconia, che molto spesso finisce per trasformare il sorriso in dispiacere.
Bada molto all’estetica (sublime la fotografia di Robert Yeoman e incantevoli i costumi di Milena Canonero), senza ovviamente dimenticare anche il senso per la geometria che caratterizza la scena, ogni elemento ha infatti una sua precisa funzione e una sua simmetria rispetto a tutti gli altri, e molto meno alla sostanza in questo frangente, dando vita ad una sorta di road movie spirituale in cui la trama è giusto un frivolo accenno e all’ottima interpretazione (più che altro -fisica- presenza scenica) fan da contraltare le musiche dei Kinks, dei Rolling Stones e di Peter Sarstedt, oltre alle sonorità in stile Ivory e dal “tocco” tipicamente indiano.
Bella e significativa la scena del (doppio/triplo) funerale.
Si sprecano i camei, dal Bill Murray uomo d’affari al regista Barbet Schroeder, fino alla materna Anjelica Huston e la innocente Natalie Portman (da vedere anche il cortometraggio/prequel “Hotel Chevalier” con protagonista l’attrice insieme al giovane Schwartzman, visibile in apertura), per arrivare ad Irfan Khan (“Il destino nel nome” e “A mighty heart - Un cuore grande”), oltre al solito Kumar Pallana.
Un cineasta sicuramente non affine a tutti i palati, si può amarlo così come lo si può odiare, non esistono vie di mezzo, e questo suo ultimo “Il treno per il Darjeeling” non fa differenza e complice anche una trasandata quanto ritardataria distribuzione in sala, è destinato a rimanere un prodotto di nicchia.
Per pochi eletti (?)


Recensione a cura di Svengali

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