14.5.08

Recensione: Mongol

Regia: Sergei Bodrov
Sceneggiatura: Sergei Bodrov, Arif Aliyev
Cast: Tadanobu Asano, Khulan Chuluun, Honglei Sum, Odnyam Odsuren

Le gesta del condottiero mongolo Temudjin, divenuto famoso col nome di Gengis Khan, in un film dal sapore epico.

La genesi del mito di uno dei più grandi condottieri che la storia ricordi, dalla tenera età, in cui prende moglie e vede il padre morire tra le sue braccia, alla nascita del grande impero mongolo, passando per la schiavitù presso i cinesi e le lotte intestine con la tribù Merkit prima e con il fratello Jamukha poi.
C’è parecchio di Terrence Malick e David Lean nel nuovo, autoriale, film di Sergei Bodrov (“Il prigioniero del Caucaso”), a partire dagli ampi spazi aperti e le lente inquadrature sorrette dalla fotografia di Sergei Trofimov (che ha curato anche “I guardiani della notte” e “I guardiani del giorno”) e Rogier Stoffers (tra i tanti il recente “Disturbia” di D.J. Carus) e rese maggiormente candide e placide dalle musiche di Tuomas Kantelinen (“Nella mente del serial killer”) fino alla solida sceneggiatura.
Sicuramente tra i pregi del film è da annoverare anche la magnifica performance di Tadanobu Asano (“Vital” e “Ichi the killer”, tra le tante sue performance), ma non sfigurano nemmeno l’esordiente Khulan Chuluun e il folle Honglei Sum (visto nel wuxiapian “Seven Swords” di Tsui Hark, da recuperare), oltre al giovane Odnyam Odsuren (anche lui all’esordio).
Scritto in collaborazione con Arif Aliyev (con cui aveva già collaborato per “Il prigioniero del Caucaso”), “Mongol” è una fedele trasposizione su pellicola della storica figura di Temudjin, nonostante alcuni eventi risultino romanzati (mai tuttavia in maniera eccessiva), causa anche delle scarse fonti a disposizione.
Probabilmente chi si aspetta, ingannato anche dal montaggio del trailer, un film sulla falsa riga di “300”, con corpi unti nell’olio e Grace Jones a contrastare l’avanzata di Gengis Khan, rimarrà deluso, ma non mancano sicuramente le scene di battaglia, orchestrate con maestria dal cineasta russo, sia nelle piccole schermaglie, come quella contro la tribù Merkit, che nei veri e propri scontri, epocali, tra gli eserciti (il doppio scontro con il fratello Jamukha, fronteggiato non solo sul piano fisico, ma anche su quello ideologico, segna l’apice della pellicola).
E se l’autore russo subisce il fascino del mito, non manca mai, in ogni caso, di esaltare anche il lato umano del condottiero, trovando anche il tempo per introdurre fondamentali elementi idelogico-religiosi, e arrivati alla fine dei 120 minuti se ne vorrebbero almeno altrettanti.
Bodrov, che con il precedente “Nomad” (inedito in Italia) aveva in parte deluso, regala un prodotto di pregevole fattura il cui unico difetto è la fine troppo anticipata e che lascia con un profondo senso di amarezza per il modo in cui la vicenda termina (prima della nascita dell’impero mongolo). In corsa come miglior film straniero all’ultima edizione degli Oscar, di lui ha avuto ragione il mediocre (parlo a titolo personale) “Il falsario - Operazione Bernhard”.
Speriamo quanto prima in una data certa per l’uscita del secondo capitolo.
Epico (Peccato che sia stato doppiato in italiano).



Recensione a cura di Svengali

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