26.5.08

Recensione: Rise - La setta delle tenebre

Regia: Sebastian Gutierrez
Sceneggiatura: Sebastian Gutierrez
Cast: Lucy Liu, James D’Arcy, Mike Chicklis, Carla Gugino

Per la serie “il polpettone della settimana”.



Sadie (Liu), giornalista legata all’ambiente underground della città, scopre l’esistenza di una setta segreta divenuta fenomeno di culto fra i giovani dell’intera Los Angeles e quando iniziano a fare la loro comparsa i primi cadaveri decide di indagare.
Rapita e seviziata, viene trasformata in un vampiro e la sete di sangue diventa per lei un’ossessione.
Decisa a vendicarsi di coloro che l’hanno trasformata in questa aberrazione, incontra sulla sua strada il detective Rawlins (Chiklis), che ha perso la figlia per colpa della stessa setta.
Insieme indagano fianco a fianco per fermare il massacro dei tanti innocenti oramai in atto da troppo tempo.
L’ennesimo film horror che la Ghost House Pictures di Sam Raimi ci propina risulta essere senza né capo né coda.
Dallo squallido inizio fino al deprimente epilogo non c’è un solo buon motivo per valutare positivamente questo “tentativo di fare un film”.
Sebastian Gutierrez (già sceneggiatore di “Gothika”, “Snakes on a plane” e “The eye”, oltre che di questo scempio) dietro la macchina da presa e John Toll (che incredibilmente ha curato anche la fotografia di “Gone baby gone”, “Vanilla sky” e “Vento di passioni”) alla fotografia si divertono a giocare con filtri grafici e mezzucci da z-movie, tra rimandi, cliché e scopiazzature da questo e quel film.
Lucy Liu è tra i vampiri (mai pronunciato questo nome nel corso dei 94 minuti, a meno che non sia stato fatto durante una delle mie forzate riflessioni in fase REM) meno credibili che la storia del cinema ricordi, per non parlare dei ridicoli villain, un James D’arcy (“L’esorcista - La genesi”, altro film indimenticabile per gli appassionati del genere) in stato di (dis)grazia e una Carla Gugino che ricalca la Lucille di “Sin City”, film, in quanto a spessore (e credo non sia necessario aggiungere altro).
L’unico personaggio ai limiti della decenza è il detective Clye Rawlins, a cui il pragmatico Mike Chiklis, per l’occasione ribattezzato “volto di roccia” per via della totale inespressività (anche se il problema pare affliggere l’intero cast in questo caso), dona una fisicità che non guasta a quella che è, a tutti gli effetti, una pessima operazione commerciale (il mercato home video sarebbe stato il giusto target, ma ci ostiniamo qui in Italia a farci del male mese dopo mese con simili porcherie).
Le scene senza senso si susseguono e l’unico elemento che porta avanti il film è la sfrenata e morbosa ricerca dei corpi nudi di questa o quella attrice (dalla Gugino, moglie del regista, alla Liu, passando per la Cameron Richardson del brutto “Alla deriva”), che si alternano per tutta la durata, nell’attesa del classico e scontato scontro finale, che nulla lascia, se non senso di amarezza per il tempo sprecato.
Cameo per il “rocker” Marilyn Manson, è il barista.
Sempre della Ghost House Pictures potete inoltre fare a meno delle seguenti “perle”: “The grudge”, “The grudge 2”, “Boogeyman”, “The messengers” e “30 giorni di buio”, a quanto pare di idee che anche il genere trash rifiuterebbe a mani basse ne hanno realizzate un bel po’.
Brutto.
Brutto.
Recensione a cura di Svengali

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